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Grafene: una grande risorsa per il mondo dell’energia

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Il grafene è il materiale del nostro secolo. La sua applicazione può fare la differenza nel mondo dell’energia, sia nel campo delle rinnovabili sia in quello delle fonti fossili

 

Forte, leggero, sottile, (valido) conduttore: il grafene è uno dei materiali del nostro secolo. È estremamente resistente e rigido (100 volte più dell’acciaio), trasparente e flessibile ed conosciuto soprattutto per il suo impiego nel settore delle energie rinnovabili e del fotovoltaico in particolare. È il materiale che rappresenta il futuro e la transizione energetica che porta allo sfruttamento delle sole fonti di energia pulita.

E non solo. Progetti a parte, la transizione energetica durerà decenni e il mondo ha ancora (tanto) bisogno di petrolio e gas. Ha ancora bisogno degli oleodotti e dei gasdotti Di quei tubi giganti così importanti per il nostro sistema.

Transizione energetica

rinnovabiliIl mondo sarà rinnovabile, prima o poi. La necessità di combattere i cambiamenti climatici e ridurre le emissioni porterà aziende e Governi a virare fortemente e decisamente verso l’energia rinnovabili. La transizione è già iniziata e le fonti pulite guadagnano strada.

E se è vero che nel 2016 la quota delle rinnovabili elettriche sulla domanda è stata pari al 34,2% (2% in più rispetto al 2015), è vero anche che non possiamo ancora rinunciare a petrolio e gas.

Protagonista di questa transizione energetica potrebbe essere proprio il gas naturale, un combustibile fossile, proprio come lo sono il petrolio e il carbone, ma molto più pulito di queste.

Il valore del grafene per il futuro dell’energia

Il grafene è un materiale davvero versatile. Le sue proprietà elettriche unite alla buona conducibilità del materiale, fanno sì che le applicazioni più promettenti del grafene siano legate al mondo dell’elettronica e dell’energia. E’ la sostanza candidata numero uno per sostituire l’ampiamente sfruttato silicio per quanto riguarda i materiali elettronici di nuova generazione.

Grazie al grafene, utilizzato in quantità giuste, è possibile realizzare pannelli solari con un’ottima efficienza energetica.

Alcuni ricercatori cinesi, hanno dato vita ad un pannello dotato di uno strato di grafene (uno strato di carbonio con lo spessore di un atomo, disposto in una struttura simile a quella di un alveare), che produce energia anche con la pioggia.

Gli esperti hanno testato la cella di Grätzel, così è denominata la nuova cella rivestita dal grafene, grazie ad una miscela di acqua e sale (si è provato a riprodurre la pioggia), notando che l’idea funziona. Quando l’acqua ha toccato la superficie dei pannelli solari, le particelle ionizzate di sale nell’acqua (ammonio, sodio e calcio, caricate positivamente) sono state separate dall’acqua per produrre elettricità. C’è da dire, anche, che l’acqua piovana contiene una varietà grande di ioni, ma non è salata. I ricercatori cinesi, quindi, dovranno capire come i pannelli potranno generare energia in situazioni più simili a quelle dell’acqua piovana.

Il grafene per migliorare gli oleodotti e i gasdotti

Non solo energia pulita. Il grafene potrebbe far la differenza anche nel settore dei combustibili fossili, quali petrolio e gas. E nel campo degli oleodotti e gasdotti, in particolare.

oleodottiSe si pensa che nel 2014 si stimava che il 45% della rete di oleodotti in America avesse più di 50 anni e che i giganti tubi vengono progettati per avere una vita di 20 o 30 anni, si comprende bene la necessità di un rinnovo immediato della rete (il cui costo economico è stimato intorno a 270 miliardi di dollari). Ed è in questo contesto che potrebbe intervenire il grafene.

E’ stato dimostrato dalla società britannica Haydale Composite, Solutions (HCS), infatti, che l’aggiunta di questo materiale nel processo di produzione degli oleodotti, aumenta la capacità di resistenza dei tubi alle eventuali perdite.

La ricerca è allo stato avanzato. HCS ha anche aperto un centro ricerche, con sede in Galles, per provare e testare pregi e difetti delle nuove tubature. “Vediamo una vasta gamma di benefici nell’impiego di polimeri arricchiti di grafene per la funzionalità dei sistemi degli oleodotti e gasdotti, fra cui il miglioramento della robustezza, rigidità e resistenza, minore fatica in termini di prestazione. Possiamo quantificare questi benefici con l’utilizzo di un test di collaudo, che consentirà ai clienti di poter disporre di tubature realizzate con un composito arricchito di grafene ottenendo migliori prestazioni ad un costo minore”, ha commentato Gerry Boyce, Amministratore Delegato di HCS in una dichiarazione di agosto 2016.

Anche la società Kinder Morgan è a lavoro per migliorare la resistenza temporale degli oleodotti, testando un rivestimento ad elevate prestazioni applicato sulla parte esterna dei tubi, grazie al quale è possibile aumentare la loro resistenza.

Mentre la ricerca avanza, però, mancano i finanziamenti per la riqualificazione delle strutture. Donald Trump, infatti, ha promesso importanti investimenti sulle infrastrutture, ma al momento le risorse sembrano esser destinate, in particolare, ad aeroporti e autostrade piuttosto che al sistema energetico.

Il mercato del grafene

grafeneSe negli anni passati il grafene è stato appannaggio di università e centri di ricerca, le potenzialità e le numerose applicazioni di questo materiale lo rendono appetibile anche alle aziende private, sempre più interessate ad investire in questa materia: si spera quindi che si passi da una produzione pilota ad una più matura e meno costosa. Il grafene dovrebbe generare un mercato che vale 278 milioni di dollari entro il 2020, con un tasso di crescita di quasi il 43% tra il 2015 e il 2020. Alcuni settori, come l’elettronica, faranno registrare anche una crescita maggiore.

Grafene: gli altri ambiti di applicazione

La proprietà di assorbimento saturabile rende il grafene candidabile a possibili applicazioni nel campo dei laser e nella fotonica ultraveloce. Questo materiale potrebbe anche sostituire il metallo in giunzioni Schottky. Anche i droni, come scrive Bloomberg, potrebbero essere realizzati in grafene.

Non solo. Il grafene si è rivelato anche un ottimo alleato della buona medicina. Uno studio della Monash University ha svelato che i fogli di ossido di questa materia possono cambiare struttura e diventare gocce di cristalli liquidi spontaneamente. Si tratta di una scoperta cruciale: tali gocce, infatti, potrebbero essere utilizzate per rilevare le malattie.

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Gas, mercato delle pipeline oltre i 2 trilioni di dollari entro il 2024

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Secondo il rapporto della Global Market Insights saranno le crescenti scoperte di riserve non convenzionali e l’alto numero di centrali elettriche a gas a determinare l’incremento

gasL’intero mercato dei gasdotti dovrebbe oltrepassare i 2 trilioni di dollari a livello mondiale entro il 2024. È quanto emerge dalle proiezioni contenute nell’ultimo rapporto redatto da Global Market Insights, Inc, società leader nel settore della consulenza globale e della gestione di mercato. Secondo lo studio, le crescenti scoperte di riserve non convenzionali e l’alto numero di centrali elettriche alimentate a gas in tutto il mondo, utilizzate per la loro alta efficienza e per le ridotte emissioni di Co2, saranno gli elementi chiave che determineranno l’incremento delle dimensioni del mercato delle infrastrutture gas. Dal lato della produzione, l‘Energy Information Administration (Eia) – l’ufficio di statistica Usa – ha pubblicato nel 2016 una relazione nella quale sostiene che il mercato dello shale gas Usa ha superato 15,2 trilioni di metri cubi (tcm) nel 2015, con un incremento anno su anno di oltre 1,7 tcm. Ma anche i paesi in via di sviluppo si stanno concentrando sull’espansione delle attività di E&P (esplorazione e produzione) nello shale per bilanciare la domanda. Lo scorso anno il China Geological Survey (CGS) ha segnalato la scoperta di 13,54 trilioni di metri cubi di riserve di gas non convenzionale nella sola provincia di Guizhou.

L’ampia disponibilità di gas si riflette naturalmente in un aumento dei consumi. Per fare un esempio il Department of Business, Energy & Industrial Strategy del Regno Unito ha pubblicato un rapporto secondo cui il consumo di gas naturale nel 2016 ha superato i 46,32 miliardi di metri cubi mentre negli Usa l’Energy Information Administration ha riferito che sempre lo scorso anno il gas naturale ha rappresentato oltre il 33% della produzione totale di energia elettrica negli impianti. I consumi di gas naturale in Italia nel 2016 sono stati pari a 70,9 miliardi di metri cubi, con una crescita del 5% sul 2015 e addirittura del 14,5% sul 2014. Mentre nel primo semestre 2017 la domanda è cresciuta del 9,6%, con 3,4 mld di mc in più rispetto al primo semestre 2016. In Cina, un report della National Development and Reform Commission (Ndrc), ha evidenziato la possibilità di un aumento del 10% dei consumi di gas nel corso del 2017 che potranno raggiungere i 230 miliardi di metri cubi. Solo nel primo semestre di quest’anno il consumo si è attestato a 114,6 miliardi di metri cubi in crescita del 15,2% rispetto allo stesso periodo del 2016. Per gli analisti l’aumento dell’utilizzo di gas naturale nel paese è diretta conseguenza non solo della costante crescita economica cinese, ma anche delle nuove politiche a salvaguardia dell’ambiente che spingono a fruire di combustibili più “puliti”. Nei piani di Pechino vi è la promozione di un utilizzo efficiente e su vasta scala del gas naturale in settori quali industria, trasporti e centrali elettriche. Tanto che la stessa Ndcr ha annunciato un piano di espansione della rete gas rivolto a tutte le città con una popolazione superiore a 500mila che avranno accesso alla fonte entro il 2025.

Dall’insieme di questi fattori – incremento della domanda e ragioni ambientali – ma anche dalla forte industrializzazione e urbanizzazione dei paesi in via di sviluppo arriverà dunque un’ulteriore accelerazione per il mercato dei gasdotti portando allo sviluppo della rete esistente e all’aumento dell’import transfrontaliero. Se nel 2016 la rete onshore rappresentava oltre due terzi della quota di mercato mondiale delle infrastrutture dei gasdotti, il mercato dei gasdotti offshore è destinato a crescere di oltre l’1,5% entro il 2024.

Guardando al mercato italiano le proiezioni prevedono l’installazione cumulativa di 300mila km di rete gas entro il 2024 completati da un aumento degli investimenti destinati a sviluppare collegamenti transfrontalieri offshore. Per esempio con l’accordo stipulato da Saipem e Trans Adriatic Pipeline AG per lo sviluppo di 105 km di gasdotto di cui 36 offshore tra le coste italiane e l’Albania. Di interesse diretto per il nostro paese anche il mercato dei gasdotti algerini che secondo le previsioni dovrebbe crescere di oltre il 6% entro il 2024. Nel 2016, la società di proprietà del governo algerino Sonatrach ha annunciato di voler investire 3,2 miliardi di dollari Usa in quattro anni per potenziare le capacità delle infrastrutture.

gasIl mercato americano è invece proiettato verso il superamento dei 2,5 milioni di chilometri di rete entro il 2024. Secondo l’Energy Information Administration la produzione di gas naturale dovrebbe coprire circa il 40% della produzione totale di energia Usa entro il 2020. Lo scorso anno, la Eia ha riferito che l’export verso il Messico tramite gasdotti è aumentato in pochi anni raggiungendo i 7,3 miliardi di metri cubi e potrebbe raddoppiare entro i prossimi 3 anni. Nel 2016, Spectra Energy e TransCanada si sono aggiudicate un contratto per costruire e gestire il nuovo gasdotto che collega il Texas a Tuxpan in Messico. L’obiettivo della nuova opera da 3,6 miliardi di dollari e 270 km, è quello di fornire shale gas statunitense alle centrali elettriche messicane entro il 2018.

Il mercato dei gasdotti in Gran Bretagna è valutato in oltre 50 miliardi di dollari. Nel 2016, l’autorità britannica per le infrastrutture ha deciso di investire oltre 7,6 miliardi di dollari in circa 13 progetti di trasmissione e distribuzione del gas in tutto il paese. Guardando ai confini europei non sono da dimenticare inoltre il Turkish Stream, il progetto di Gazprom che collega principalmente Turchia e Russia (ma in estensione fino alla Grecia) che consiste in due gasdotti paralleli che si estendono per 930 chilometri e i piani del ministero dell’Energia e delle Risorse Naturali di Ankara che nel 2015 hanno varato un piano strategico per aggiungere almeno altri due paesi all’elenco delle nazioni importatrici di gas naturale entro il 2019. Infine, l’Iran che conta per oltre il 40% della quota di mercato dei gasdotti medio-orientale e dell’Africa, ha annunciato nel 2017, di voler avviare cinque giacimenti su 24 del campo di South Pars. Negli ultimi quattro anni la produzione della zona è raddoppiata e il paese è candidato a essere uno dei leader del commercio globale di esportazione di gas.

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Gas, nel risiko mondiale Russia sempre più protagonista

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Da Nord Stream 2 a Tap e Tanap, passando per Turkish Stream, Egitto e Cina. Mosca controlla di fatto la stragrande maggioranza delle risorse e le vie di transito ponendosi al centro della scena mondiale

 

Lo scenario strategico degli approvvigionamenti nel settore gas sembra destinato a cambiare assetto nei prossimi anni. Da un lato, le sanzioni varate dall’Europa contro la Russia hanno creato le condizioni per un riassetto geopolitico e dall’altro la stessa Mosca, viste le difficoltà nei rapporti con i paesi occidentali, sta ipotizzando di dirottare gran parte delle sue risorse verso la Cina. In questo risiko, l’Europa lavora per garantirsi una maggiore indipendenza proprio dal Cremlino.

Il caso del Nord Stream 2

Nordstream 2 L’ultima spallata ha riguardato il Nord Stream 2, il raddoppio del gasdotto sotto il Baltico, che aumenterebbe la dipendenza europea dal metano russo. Il progetto è sotto il tiro incrociato di possibili sanzioni americane e di una diffusa opposizione in Europa: non da ultima una bozza di documento della Commissione Ue che affossa l’infrastruttura con le stesse motivazioni che silurarono a suo tempo il progetto gemello del South Stream. Gazprom, infatti, non può, secondo la normativa europea, essere proprietaria del gasdotto e del metano che vi transita. Deve aprirsi a possibili concorrenti. In più, deve garantire di non chiudere i gasdotti che passano attraverso l’Ucraina.

La posizione russa al contrario è chiarissima. Nord Stream 2, nella parte che corre sotto il Baltico, è fuori dalla giurisdizione europea e dai suoi vincoli. Il portavoce del Cremlino Dmitri Peskov, qualche giorno fa alla Tass, ha spiegato che “la rotta di transito per il gas verso l’Europa dopo il 2020” (alla scadenza cioè dei contratti con l’Ucraina) – sarà quella “quella più profittevole per il venditore, ovvero la Russia, e per i suoi clienti, i paesi dell’Europa occidentale”. Per la Commissione europea, al contrario, il gasdotto non può operare contemporaneamente sotto due giurisdizioni diverse, europea e russa.

Per il momento il giudizio di Bruxelles è solo una bozza e una decisione vera e propria è attesa per le prossime settimane, tenendo conto anche del fatto che il 24 settembre ci saranno le elezioni in Germania e i tedeschi sono i primi ad essere interessati alla vicenda. Il progetto aveva già subito un duro colpo qualche mese fa quando, per iniziativa dei polacchi gli anglo-olandesi di Shell, i francesi di Engie, i tedeschi di Uniper e Wintershall e gli austriaci di Omv, tutti soci al 50 per cento di Gazprom, avevano dovuto ritirarsi dall’impresa, lasciandola tutta nelle mani dei russi e limitandosi a finanziarla. Ma anche questa operazione è adesso sotto la lente d’ingrandimento dopo le sanzioni anti-Putin varate, contro il parere di Trump, dal Congresso Usa e specificamente dirette contro gli investimenti energetici.

I progetti di fornitura russi verso Europa e regioni confinanti

South Stream In tal tale contesto si inseriscono i progetti di realizzazione dei due gasdotti Tap e Tanap che collegheranno direttamente l’Italia (e non solo) con il Caspio e il giacimento azero di Shah Deniz passando prima per la Turchia e poi per Grecia e Albania. Insomma, il corridoio meridionale che i russi volevano realizzare con  il South Stream è ora osteggiato da Mosca che desidera conservare il monopolio delle vie di transito dirette a ovest. Anche se stavolta il Cremlino potrebbe decidere addirittura di allearsi con l’Azerbaijan e con la Turchia per trasformare la nuova via in una risorsa per le sue esportazioni. Dal punto di vista dei turchi, che comprano il 56,7% del loro gas dai russi, diversificare gli approvvigionamenti con altri fornitori, costituirebbe un incremento della sicurezza. Ankara ha già dichiarato che sono stati completati due terzi del tragitto del Tanap e la Banca Mondiale ha appena garantito un prestito da 400 milioni di dollari alla Botas (la compagnia energetica dello Stato turco) per completare l’infrastruttura da 2 miliardi mc di gas all’anno (la capacità definitiva sarà di 6 mld). Il Tanap dovrebbe terminare addirittura prima i lavori e diventare operativo dal prossimo anno invece che nel 2019 come previsto, con un calo dei costi da 11,7 a 8,5 miliardi di dollari. Un discorso simile a quello che sta accadendo per Tap: i soci del consorzio hanno dichiarato che costerà 1,5 miliardi in meno del previsto raggiungendo i 4,5 miliardi euro quando sarà completato nel 2020. Vista la sua capacità di trasporto pari a 10 miliardi di mc però, il consorzio dei costruttori sta valutando altre offerte di rifornimento come quella che potrebbe arrivare ancora una volta da Gazprom, attraverso il Turkish Stream: il gasdotto che raggiungerà la Turchia attraverso il Mar Nero, potrebbe allacciarsi direttamente al Tanap e al Tap, garantendo ancora una volta ai russi di metterci lo zampino.

Un nuovo protagonista: L’Egitto

Sul mercato internazionale si sta però affacciando un nuovo protagonista, l’Egitto. Dopo l’individuazione del maxi-giacimento di Zohr (da parte di Eni) di fronte alle sue coste mediterranee, sembra che il paese nordafricano sia sul punto di annunciare altre scoperte importanti. L’intenzione del Cairo è quella di dirottare il flusso di gas verso l’export utilizzando gli impianti Gnl. Ma in questa partita è centrale ancora una volta l’alleanza che il Cremlino ha stretto con gli egiziani attraverso la russa Rosneft che ha acquistato il 30% delle azioni del giacimento di Zohr.

Mosca e il Kurdistan iracheno

gasIntanto sempre Rosneft sta pensando a un accordo con il Kurdistan iracheno per realizzare un nuovo gasdotto da lanciare nel 2019 per esportare gas in Turchia e in Europa. “Le parti – comunica una nota dell’azienda russa – hanno parlato della partecipazione di Rosneft al progetto su cui si prevede la firma entro la fine dell’anno”. Il gasdotto dovrebbe garantire forniture fino a 30 miliardi di metri cubi di gas all’anno non solo per i principali consumatori domestici della regione e per le centrali elettriche ma anche per l’export a partire dal 2020.

La Russia guarda verso est

Ad est si profila intanto un vero e proprio patto d’acciaio tra Cina e Russia dal punto di vista energetico. Al momento Pechino è quasi totalmente dipendente da Golfo Persico e Africa per le sue risorse energetiche che potrebbero aumentare dagli attuali 39 miliardi di metri cubi all’anno a 170 miliardi di metri cubi nel 2035. Gazprom sta realizzando Power of Siberia, una conduttura che pomperà il gas del giacimento siberiano di Chayanda e di Kovykta fino ad arrivare a Khabarovsk e poi Vladivostok. Da qui il gasdotto dovrebbe proseguire fino al confine cinese. Secondo la China National Petroleum Corporation, l’accordo è già fatto, e il gasdotto diventerà completamente operativo nel 2020. Per ora, secondo quanto riferisce Reuters, Gazprom pensa di poter fornire alla Cina entro il 2020, 4,6 miliardi di metri cubi di gas destinati ad aumentare gradualmente a 38 miliardi di metri cubi nel 2025, secondo quanto riferito da Vsevolod Cherepanov, un membro del consiglio di amministrazione di Gazprom.

Iran e India

L’avversario maggiore di Mosca in terra cinese è però Teheran che è pronta a inondare con le sue risorse l’intera Asia. Da anni si discute di unire con un gasdotto Cina e Iran. Pechino sarebbe disposta a sborsare  miliardi di dollari nel progetto, bloccato solo dal Pakistan che si frappone tra i due paesi. Ma in questa partita non bisogna dimenticare l’India che ha in cantiere un progetto da 7 miliardi di dollari per pompare gas dall’Iran attraverso un gasdotto da 1.300 km quasi interamente sottomarino. Le Camere di Commercio Associate dell’India (Assocham India) hanno presentato un progetto per bypassare il Pakistan e collegare Iran e Oman con le sue reti. L’Iran ha firmato nel 2013 un accordo per la fornitura di gas all’Oman in un’intesa del valore di 60 miliardi di dollari in 25 anni. Nel febbraio di quest’anno, i due paesi hanno inoltre dichiarato di aver accettato di cambiare la rotta del gasdotto per evitare le acque controllate dagli Emirati Arabi Uniti.

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Gas, il futuro e la sicurezza del settore al centro del vertice Mikta

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Composta da Messico, Indonesia, Corea, Turchia e Australia rappresenta una piattaforma consultiva interregionale per migliorare la comprensione reciproca, approfondire i legami bilaterali e trovare basi comuni per la cooperazione tra i suoi cinque paesi membri

 

Il futuro del gas naturale e le questioni relative alla sicurezza del settore sono state al centro della riunione della scorsa settimana presso l’Agenzia internazionale per l’energia di Parigi (Aie) tra i rappresentanti delle nazioni MIKTA, cioè Messico, Indonesia, Corea, Turchia e Australia. I delegati dei cinque paesi, insieme a funzionari provenienti da Stati Uniti, Polonia e Repubblica slovacca, hanno partecipato al simposio sul gas naturale, aperto dall’ambasciatore turco H. E. Erdem Başçı, attuale presidente del MIKTA. La prima sessione, con una presentazione sulla necessità di aumentare la trasparenza e la liquidità del mercato del gas, è stata introdotta dal direttore esecutivo dell’Aie Fatih Birol: “Il MIKTA è uno dei pilastri emblematici della modernizzazione dell’Aie, della nostra politica di porte aperte – ha chiarito Birol –. Comprende membri di lunga data come Turchia e Australia, la Corea, che ha aderito all’Aie nel 2002, l’Indonesia, che ha aderito alla nostra ultima riunione ministeriale due anni fa, e il Messico, che accoglieremo come trentesimo paese membro all’assemblea di inizio novembre di quest’anno”. La MIKTA funge da piattaforma consultiva interregionale per migliorare la comprensione reciproca, approfondire i legami bilaterali e trovare basi comuni per la cooperazione tra i suoi cinque paesi membri.

MiktaNonostante le grandi differenze geografiche ed economiche, i paesi MIKTA condividono l’interesse per il futuro del gas naturale. Il Messico ha recentemente riformato il settore a monte per incoraggiare lo sviluppo delle risorse interne, l’Indonesia invece è uno dei pionieri dell’industria del Gnl e da molto tempo è un paese esportatore, mentre la Corea del Sud è il secondo importatore mondiale di Gnl. Infine l’Australia è uno dei maggiori esportatori mondiali di gas naturale liquefatto mentre la Turchia sta ampliando il suo ruolo di hub fisico sulle rotte di approvvigionamento del gas naturale verso l’Europa sudorientale.

Il Messico

Cenagás, il Centro nazionale per il controllo del gas messicano, responsabile della gestione della rete di trasporto e stoccaggio del gas naturale del paese, nota come Sistrangas, ha inaugurato dal 28 settembre e fino al 18 ottobre, una consultazione pubblica per individuare le esigenze di infrastrutture e servizi di trasporto del gas naturale, tecnicamente fattibili ed economicamente validi, a breve, medio e lungo termine. Al momento il sistema Sistrangas è costituito dal gasdotto Tamaulipas, dal Zacatecas, dal Bajio e dal Ramones I, II e Sud. Creato nel 2014, Cenagás gestisce quasi 9.000 km di infrastruttura compreso il tratto di 300 km del Naco-Hermosillo. Il Centro nazionale sta pianificando, inoltre, la costruzione di altri 12 gasdotti entro il 2019, per un totale di oltre 4.700 km. Intanto BP ha iniziato a pompare gas naturale attraverso otto Stati messicani dopo che il paese ha aperto il settore energetico agli investitori stranieri. Il gigante petrolifero britannico sta consegnando gas a società industriali, distributori e produttori di energia elettrica per un totale di 200 milioni di unità termiche britanniche al giorno. Non solo. La Commissione nazionale messicana per gli idrocarburi ha deciso di mettere all’asta, che si terrà il 27 marzo 2018, 35 blocchi di esplorazione in mare dove sono presenti ingenti risorse petrolifere e gas. La superficie totale dei blocchi è di 26.300 kmq. Si trovano nei bacini di Burgos, Tampico-Misantla-Veracruz e Cuencas del Sureste.

L’Indonesia

gasIl paese è sempre stato un esportatore di gas naturale liquefatto ma l’impennata della domanda interna dovrebbe condurre a un aumento dell’import a più di 7 milioni di tonnellate l’anno entro il 2020. La società filippina Atlantic Gulf & Pacific (AG&P) sta costruendo nuovi  terminali a Bantaeng, nel Sud Sulawesi, per ricevere gas utilizzando un’unità galleggiante di stoccaggio e rigassificazione (Floating Storage and Regasification Unit – FSU) da 125 mila meri cubi, per accelerare la consegna del progetto e ridurre i costi. La nuova infrastruttura alimenterà la zona economica speciale di 3.000 ettari del Bantaeng Industrial Park e ospiterà inizialmente quattro fonderie di nichel. Il direttore finanziario e capo commerciale di AG&P Abhilesh Gupta auspica che il terminale di Bantaeng diventi un hub regionale del gas in grado di spedire piccoli carichi ad altri terminali dell’Indonesia orientale e centrale.

Il paese prevede di investire circa 1 miliardo di dollari statunitensi nel terminal e nella centrale a ciclo combinato da 600 MW che verrà realizzata sempre a Bantaeng. Entro breve, inoltre, l’Indonesia aprirà la gare per il blocco di gas e idrocarburi nella zona orientale di Kalimantan secondo quanto riferito dal vice ministro dell’Energia Arcandra Tahar. Il blocco è attualmente gestito da Chevron, il cui contratto scade nel ottobre 2018 ma l’azienda ha già anticipato che non prorogherà il suo contratto.

La Corea del Sud

La domanda di Gnl della Corea del Sud è aumentata di oltre 4 milioni di tonnellate rispetto all’anno precedente, contrariamente alle previsioni. Solo una piccola parte di questa domanda, tuttavia, proviene dal settore energetico mentre il resto è dovuto principalmente all’espansione degli impianti di importazione di Gnl, con i player locali che hanno comprato carichi spot a basso costo e stoccato risorse. L’azienda statale Korea Gas Corp. (Kogas) ha comunque annunciato la realizzazione di un nuovo impianto di liquefazione del gas naturale entro il 2025 per garantire un approvvigionamento stabile della risorsa.

Kogas, che rappresenta il secondo acquirente di Gnl al mondo per ordine di grandezza, prevede di costruire inoltre 10 serbatoi di stoccaggio 20-kiloliter a Dangjin, 123 chilometri a sud-est di Seul. Il progetto richiede l’approvazione da parte del governo provinciale di Chungcheong e l’accordo dei residenti locali. Attualmente Kogas gestisce quattro impianti Gnl in Corea del Sud. Ma per placare la fame di gas del paese Kogas ha dichiarato di voler importare gas naturale dall’Iran, oltre ad esplorare l’opportunità di acquisire partecipazioni nel settore. L’obiettivo, come spiegato dalla stessa azienda, è quella di diversificare le fonti di importazione, dato che i contratti di fornitura con Qatar e Oman sono scaduti nel 2015. Nel maggio 2016, l’Iran ha aggiudicato a Kogas la realizzazione di studi tecnici per il giacimento offshore di gas Balal nel Golfo Persico. Un funzionario iraniano ha detto a giugno di quest’anno che il paese è al lavoro su un piano per sviluppare unità di liquefazione gas di piccole dimensioni con società sudcoreane, tra cui la stessa Kogas mentre altre aziende di Seul stanno ampliando il loro coinvolgimento nel massiccio settore petrolifero iraniano. Il mese scorso la coreana SK Engineering and Construction Co (SKEC) ha firmato un accordo per l’ammodernamento della raffineria di Tabriz per 1,6 miliardi di euro.

L’Australia

Dopo aver investito oltre 200 miliardi di dollari nel settore, l’Australia è diventata negli ultimi 5 anni uno dei più grandi esportatori mondiali di gas naturale in particolare verso i mercati asiatici affamati di energia. Di recente, tuttavia, il mercato interno ha subito una serie di interruzioni di elettricità. Due rapporti sul deficit di gas riguardanti la costa orientale del paese hanno mostrato un gap “notevolmente superiore a quello stimato sei mesi fa”. Per questo i principali esportatori di gas australiani, Origin Energy, Shell e Santos hanno stretto un accordo con il primo ministro Malcolm Turnbull per dirottare parte delle forniture a copertura del deficit. Secondo l’Australia’s Industry Competitiveness Score, un rapporto del National Energy Resources Australia (NERA) realizzato in accordo con Accenture, l’implementazione di alcuni cambiamenti nella filiera potrebbe sbloccare 5 miliardi di dollari nel settore degli idrocarburi. Tra le proposte presentate, quelle di dare priorità a una collaborazione tra operatori nell’ambito della catena di fornitura, l’implementazione nel settore ricerca e sviluppo di nuove soluzione innovative, il mantenimento e miglioramento della competitività della forza lavoro australiana, dando priorità alla riforma normativa.

La Turchia

La Turchia occupa una posizione geografica unica e poiché si trova sulla via di transito di paesi che forniscono e richiedono energia, la Turchia mira a trasformare i suoi vantaggi geografici in opportunità. La strategia nazionale energetica varata da Ankara riflette la determinazione della Turchia di volersi concentrare maggiormente sulle risorse interne, diminuendo la dipendenza dalle importazioni e cercando di migliorare la sicurezza dell’approvvigionamento diversificando le fonti. Annunciata all’inizio di aprile dal ministro dell’Energia e delle Risorse Naturali Berat Albayrak, prevede tra le altre cose, crescenti investimenti in aree quali gas naturale liquefatto, stoccaggio e unità di rigassificazione. Entro novembre sarà operativa un’unità galleggiante di stoccaggio e rigassificazione per 263 mila metri cubi di gas naturale liquefatto con l’obiettivo di contribuire alla sicurezza del Paese. Il terminale sarà situato nel Mar Mediterraneo e dovrebbe alleviare i rischi derivanti da problemi sistemici o dalle relazioni con i paesi esportatori. La capacità complessiva di rigassificazione della Turchia è stata di 34 milioni di metri cubi nel 2015.

Terminal Egegaz gasL’ aumento di capacità del Terminal Egegaz nel 2016 e l’integrazione della prima FSRU nel sistema (la GDF Suez Neptune, con una capacità di stoccaggio di 145 mila metri cubi di GNL e 5,3 miliardi di metri cubi di gas all’ anno di fornitura) hanno portato tale capacità a 64 milioni di metri cubi. Il consumo totale di gas in Turchia è pari a 55 miliardi di metri cubi all’anno, la maggior parte dei quali è importata dal Qatar con alcune integrazioni da Algeria e Nigeria. Sempre nel tentativo di garantire l’approvvigionamento di gas naturale e di creare un hub, la Turchia sta realizzando due importanti  gasdotti. Il primo è il progetto Trans Anatolian Natural Gas Pipeline Project (Tanap), che trasporterà il gas azero sui mercati europei attraverso la Turchia. Il secondo è il Turkish Stream, formalizzato con un accordo firmato nell’ ottobre 2016 tra Turchia e Russia.

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Gas: Mosca vuole mantenere il dominio in Europa, ma Washington preme

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La guerra tra le due superpotenze si gioca sul binomio gas-Gnl. Putin ha ordinato a Gazprom una vera e propria guerra dei prezzi mentre gli Usa si candidano a entrare nella top 3 dei maggiori produttori mondiali

La Russia sta lavorando per mantenere il più possibile, anche nel 2018, le esportazioni di gas naturale verso l’Europa ai livelli record di quest’anno. Il colosso energetico russo Gazprom PJSC, che si occupa delle forniture verso il Vecchio Continente, ha chiuso il 2017 con un volume stimato di 190 miliardi di metri cubi. Si tratta di un primato che difficilmente potrà essere replicato quest’anno: per questo il numero due di Gazprom Alexander Medvedev, durante un’intervista, ha ammesso di puntare a un minimo di 180 miliardi di metri cubi all’Europa nel 2018.

gazpromoilLegame Gazprom-Cremlino contrasta con tensioni politiche internazionali

Gazprom, è noto, soddisfa più di un terzo della domanda europea di gas naturale, il mercato più grande e redditizio della Russia, che vale circa 37 miliardi di dollari secondo il dato del fatturato 2017. I legami commerciali stretti con l’azienda sostenuta dal Cremlino contrastano però con le crescenti tensioni sul fronte militare e politico. Mosca viene accusata di tutto, dall’ingerenza nelle elezioni allo sconfinamento degli spazi aerei e marittimi. Ad inizio dicembre le forze armate del Regno Unito hanno messo in guardia anche contro una crescente minaccia per i cavi sottomarini dell’Atlantico, Internet e il commercio internazionale più in generale, proveniente dai sottomarini russi. L’Europa, dal canto suo, ha sempre più a cuore la diversificazione degli approvvigionamenti, e prova da tempo a sganciarsi dalla Russia, sollecitando l’espansione delle forniture di Gnl dagli Stati Uniti la cui produzione ha subito un’impennata, che renderà gli Usa uno dei maggiori esportatori al mondo a metà degli anni Venti, secondo le stime dell’Agenzia Internazionale per l’Energia (Aie). Gazprom accusa, invece, gli Stati Uniti di aver politicizzato i propri interessi economici nell’Ue attraverso le sanzioni che hanno colpito anche i progetti dei gasdotti, primo fra tutti il Nord Stream 2.

Per Medevedev forniture da gasdotti più competitive del Gnl

Medevedev ha ammesso che l’Europa potrebbe comunque assorbire maggiori importazioni di Gnl, soprattutto nel caso in cui la domanda superi la capacità di import dei gasdotti. In Gran Bretagna, ad esempio, le importazioni tramite pipeline sono prossime ai livelli massimi e lo stoccaggio disponibile per garantire la flessibilità del sistema è limitato. In ogni caso, secondo il numero due di Gazprom, le forniture provenienti da gasdotti rimarranno più competitive del Gnl. Quest’ultimo rimarrà invece concorrenziale nei mercati di America Latina e Asia e ciò vale sia per i mercati tradizionali che per quelli nuovi (Cina, India, Pakistan, Bangladesh, Vietnam). Tuttavia “un mercato globale del Gnl non esiste ancora – ha dichiarato Medvedev -. Ci sono tre grandi mercati regionali – America, Europa e Asia – con una grande differenza di prezzo. Con una premialità di prezzo nella zona asiatica che rimarrà in vigore poiché la domanda è in pieno boom”.

Guerra del gas tra Usa e Russia. Putin dà mandato a Gazprom di vendere il Gnl a “qualsiasi prezzo”usa1

Da una prospettiva puramente commerciale, dunque, la vera “guerra” tra Washington e Mosca non è in Ucraina, dove sono in corso diverse controversie non ultima quella sulla Crimea, ma è in Europa. Russia e Stati Uniti, dopo essere state due superpotenze militari, sono ora i nuovi colossi mondiali di petrolio e gas. Da un lato Mosca vuole quindi assicurarsi che i suoi investimenti in Estremo Oriente non vengano loro sottratti dagli americani che vendono Gnl in Medio Oriente e Asia. Mentre i produttori statunitensi di gas stanno già invadendo i mercati russi di lungo corso presenti in Europa, in primis nei paesi più marcatamente antirussi. Solo per citare un esempio la Polonia ha firmato recentemente un accordo di cinque anni per la fornitura di Gnl. Per rappresaglia il presidente russo Vladimir Putin ha siglato qualche giorno fa un provvedimento per consentire a Gazprom di vendere gas naturale liquefatto “a qualsiasi prezzo” a partire dal 1 gennaio. L’intento, come ha chiarito il quotidiano Kommersant che ha dato la notizia, è quello di fare concorrenza agli Usa e avrà effetto principalmente sui progetti russi di Baltic Lng e Sakhalin-2. La mossa può essere vista anche come un mezzo per competere con i nuovi impianti Gnl in Lituania e Polonia, che hanno entrambi ricevuto le spedizioni statunitensi dal Golfo del Messico. Per il momento il gas di Gazprom viene fornito principalmente attraverso gasdotti, ad un prezzo molto inferiore di quello del Gnl che rimane un processo più costoso e richiede la realizzazione di infrastrutture.

Negli Usa solo un impianto Gnl per ora. Ma entro un paio di anni la produzione triplicherà

Negli Stati Uniti esiste un solo terminale Gnl, di proprietà di Cheniere Energy, che esporta gas dallo scorso anno proveniente dal suo impianto di Sabine Pass . Sabine Pass ha una capacità di circa 2 miliardi di metri cubi al giorno ma dovrebbe arrivare a 3,5 miliardi una volta completata la costruzione dell’infrastruttura ferroviaria. Ci sono altri cinque progetti in costruzione per una capacità totale di circa 7,5 miliardi di metri cubi al giorno che saranno attivati nel 2018 e 2019, aumentando la capacità totale di esportazione di Gnl statunitense a circa 10 o 11 miliardi di metri cubi al giorno entro il 2020, secondo l’Institute for Energy Research di Washington. Altri quattro progetti, per quasi 7 miliardi di metri cubi al giorno, invece, sono stati approvati ma non ancora in costruzione. Se verranno completati, gli Stati Uniti saranno tra i primi tre esportatori di Gnl insieme all’Australia e al Qatar.

Power of Siberia operativo a fine 2019

A conferma di come la Russia voglia rafforzare il suo status di superpotenza del gas, pochi giorni fa è arrivata la notizia che il gasdotto “Power of Siberia”, che trasporterà combustibile in Cina, inizierà a pompare carburante entro la fine di dicembre 2019. Secondo Alexei Miller, CEO di Gazprom i due terzi del gasdotto di 2.500 miglia complessive è già stato posato. Il colosso russo ha un contratto di 30 anni con la cinese CNPC per la fornitura di 1,3 trilioni di miliardi di metri cubi di gas naturale all’anno attraverso la pipeline. Il suo completamento è tra le principali priorità di Gazprom per il prossimo anno, secondo i piani approvati dalla società la scorsa settimana. L’altra priorità assoluta rimane, invece, il Nord Stream 2, che è diventato un grave problema per l’Unione europea, sempre preoccupata di aggravare la sua dipendenza dalle forniture russe. La domanda di gas naturale in Cina sta comunque crescendo rapidamente e, secondo un recente rapporto di Eurasia Daily, Power of Siberia sarà essenziale per risolvere le future carenze di gas nel nord del paese. Quest’inverno, la Cina settentrionale ha registrato una penuria di gas dovuta a condizioni climatiche più fredde del solito e le autorità locali hanno dovuto imporre restrizioni sui consumi di gas. Il consumo cinese di gas naturale, infatti, è aumentato nei primi 11 mesi del 2017 del 19% rispetto all’anno precedente, e il ritmo di crescita della domanda non farà che intensificarsi. Il paese è già il terzo più grande consumatore di gas naturale del mondo, dietro Stati Uniti e Russia, e si prevede una forte crescita della domanda nel corso dei prossimi decenni, che lo spingerà al secondo posto entro il 2040.

Putin ordina la svolta sulle auto: basta carburanti tradizionali, meglio il gas

Sarà anche per questo che il presidente Putin ha esortato a seguire la strada tracciata da Gazprom e di procedere anche per le auto a una svolta verso il gas, eliminando i carburanti tradizionali. “È più economico ed ecologico”, ha ammesso il presidente aggiungendo tra i vantaggi anche il fatto di poter vendere all’estero più prodotti petroliferi. “Il gas naturale avrà un enorme effetto economico positivo e creerà dei vantaggi competitivi per l’intera economia. Pertanto, è necessario continuare a sostenere il suo sviluppo, sia a livello governativo che regionale”, ha aggiunto Putin.  La più grande casa automobilistica del mondo, Volkswagen, ha annunciato già a maggio dello scorso anno di essere in trattative con Gazprom per sostenere i suoi sforzi nella promozione di auto a gas.

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Isis blocca il gas: Libia costretta a bruciare petrolio per avere energia

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Nel 2007 era stata elaborata una strategia per il gas che comprendeva l’estensione della rete nazionale ma la maggior parte dei progetti infrastrutturali è in stand by a causa della minaccia dello Stato islamico che scoraggia gli investitori

 

Libia sempre più dipendente dal petrolio per risolvere i problemi di carenza di energia elettrica. Il paese avrebbe di fatto abbandonato la possibilità di approvvigionarsi di gas a causa della presenza dello Stato islamico che di fatto sta frenando lo sviluppo delle infrastrutture per rifornirsi di combustibile blu. I due nuovi impianti a Ubari nel sud-ovest e Tobruk nel nord-est sono stati progettati principalmente per funzionare a gas. Ma in assenza di gasdotti per la fornitura del combustibile, entrambi bruceranno petrolio, emettendo circa il doppio dei gas a effetto serra.

LibiaLa priorità è affrontare i blackout

Nel quadro di instabilità che ha colpito la regione dopo la scomparsa dell’ex leader Muammar Gheddafi nel 2011, la priorità è diventata quella di affrontare i frequenti blackout elettrici piuttosto che pensare a proteggere l’ambiente. “È più una strategia di necessità che un approccio intenzionale di bruciare petrolio per l’energia – ha dichiarato Richard Mallinson, analista di Energy Aspects, al sito Climate Home News – In un ambiente più stabile, puntano ad avere dei collegamenti. Ma ora hanno urgente bisogno di energia”. La centrale da 640 MW di Ubari dovrebbe entrare in funzione nelle prossime settimane. I giacimenti di gas nel sud-ovest sono collegati mediante gasdotto ad un terminale di esportazione a Mellitah, ma il gasdotto si ferma a circa 300 km da Ubari. Lo stabilimento da 650 MW di Tobruk ha un problema simile. Il principale gasdotto libico si sviluppa lungo la costa mediterranea tra la capitale Tripoli e la seconda città libica, Bengasi, ma si ferma a circa 400 km da Tobruk.

Libia in controtendenza nel produrre energia elettrica con il petrolio

La Libia è in controtendenza rispetto alla tendenza globale di abbandonare la produzione di energia elettrica alimentata a petrolio, che nella maggior parte del mondo viene utilizzata come ultima risorsa. Anche le nazioni ricche di petrolio vedono più valore nell’esportazione del prodotto che nello spreco tramite utilizzo in centrali elettriche inefficienti. “Il petrolio è in via di graduale eliminazione – ha detto Mallinson -. Arabia Saudita, Iran e Iraq hanno tutti impianti di generazione elettrica tramite petrolio, ma stanno cercando di sostituirlo con gas per vendere il loro petrolio”.

Piano gas sospeso per il momento: ma aumenta la domanda

Il governo libico non ha pianificato le cose in questo modo. Nel 2007 era stata elaborata una strategia per il gas che comprendeva l’estensione della rete nazionale di approvvigionamento. La maggior parte di questi progetti infrastrutturali, tuttavia, sono in stand by a causa della minaccia dello Stato islamico che scoraggia gli investitori. Senza trascurare il fatto che la fornitura di combustibile è pressoché nulla. Nel frattempo però è aumentata la domanda dei consumatori. La General Electricity Company of Libya (Gecol), a gestione statale, impone blackout programmati nel tentativo di impedire che la rete si blocchi completamente. Spesso ci sono anche blackout non programmati, dovuti a zone del paese che si rifiutano di spegnere la rete quando previsto o ad attacchi alle infrastrutture elettriche da parte di gruppi locali di scontenti o fazioni politiche. Il 12 gennaio 2017, la centrale di Zawiya nel nord-ovest è stata costretta a passare a bruciare gasolio quando i manifestanti hanno interrotto le forniture di gas all’impianto. Il conseguente calo della produzione ha causato interruzioni di corrente per 12 ore a Tripoli e un blackout di tre giorni nel sud del paese. Se le forniture di gas fossero state tagliate più a lungo, i risultati sarebbero stati quelli di un “blackout totale” in tutto il paese, disse allora la Gecol. Gli sforzi dell’azienda statale per incoraggiare un consumo più moderato e una riduzione coordinata del carico energetico non sono riusciti a prevenire ulteriori interruzioni impreviste durante tutto l’anno. Alla fine di giugno e luglio si sono verificati blackout in tutto il paese a causa del picco della domanda estiva di energia elettrica. Alcune parti del sud sono rimaste senza elettricità per una settimana alla volta.

In Libia ha anche altri problemi ambientali

La produzione di energia non è l’unico aspetto della protezione ambientale che soffre del vuoto di autorità libico. La politica ambientale a livello nazionale e locale è sostanzialmente inesistente. “Ci sono rifiuti non raccolti a Bengasi e Tripoli, il sistema fognario è crollato e sospetto che non ci sia alcuna regolamentazione della pesca – ha dichiarato Geoff Porter, responsabile della società statunitense North Africa Risk Consulting -. Il degrado ambientale a cui stiamo assistendo in Libia è una conseguenza diretta del completo crollo dello Stato”.

Prospettive poco favorevoli

L’autorità statale in Libia si è divisa più volte. Il Parlamento di Tobruk si è rifiutato per quasi due anni di approvare il gabinetto nominato dall’esecutivo di Tripoli, riconosciuto a livello internazionale, costituito a seguito dell’accordo di pace del dicembre 2015. Il precedente governo riconosciuto a livello internazionale, fondato nel 2014 e con sede nella città orientale di Baida, continua, inoltre, ad esercitare l’autorità su alcune parti del paese respingendo l’intesa del 2015. La situazione è resa ancora più difficile dalla frammentazione militare in centinaia di milizie. L’esercito nazionale libico è nazionale solo di nome e non è riconosciuto dal governo di Tripoli, ma il suo leader Khalifa Haftar è desideroso di assumere un ruolo chiave in qualsiasi soluzione politica. Le forze di Haftar hanno avuto un certo successo nell’affrontare i militanti dell’Isis dalla città di Derna nel nord-est e più recentemente a Bengasi. Le milizie di Tripoli e Misurata, sostenute dall’aeronautica americana e da esperti militari francesi e britannici, hanno nel frattempo costretto l’Isis a rinchiudersi nella città di Sirte. Nonostante ciò, però, le cellule estremiste continuano a minacciare la sicurezza delle infrastrutture chiave e la sicurezza dei lavoratori, in particolare quelli provenienti dall’estero. E ciò rende estremamente difficile il ripristino delle infrastrutture esistenti, per non parlare della costruzione di nuove strutture. L’entrata in esercizio della centrale di Ubari, ad esempio, era prevista per novembre. Ma i partner di progetto Enka Teknik e Siemens hanno ritirato il loro personale dallo stabilimento a novembre, dopo che tre lavoratori turchi e un sudafricano, tutti dipendenti di Siemens, sono stati rapiti fuori dall’aeroporto di Ubari. A settembre, l’inviato delle Nazioni Unite per la Libia Ghassan Salamé ha pubblicato un piano d’azione per sanare le divisioni politiche e ripristinare un governo funzionale.

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Nel 2018 Pechino al top dei consumi mondiali di gas

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La Cina è pronta a mettere la freccia e superare l’attuale primato del Giappone. Il giro di vite contro l’inquinamento ha provocato una vera e propria corsa al gas: tra il 2018 e il 2022 sarà sempre il paese asiatico a guidare la corsa alla realizzazione dei maggiori gasdotti a livello mondiale

Il giro di vite di Pechino contro l’inquinamento ha messo la Cina sulla buona strada per superare il Giappone, già a partire quest’anno, come il più grande importatore mondiale di gas, usato per sostituire il più inquinante carbone. La tigre asiatica, che per ora è già il maggior importatore di petrolio e carbone del mondo, è al terzo posto come consumatore mondiale di gas naturale dopo gli Stati Uniti e la Russia, ma è costretta a importare circa il 40 per cento del suo fabbisogno totale, visto che la produzione nazionale non è in grado di stare al passo con la domanda. I dati raccolti dal terminale Eikon di Thomson Reuters indicano che le importazioni cinesi tramite gasdotti e Gnl nel 2017 raggiungeranno i 67 milioni di tonnellate, con un incremento di oltre il 25 per cento rispetto all’anno precedente mentre le importazioni di Gas naturale liquefatto dovrebbero essere aumentate di oltre il 50%. Naturalmente si tratta di stime preliminari basate sugli arrivi delle metaniere e dei flussi di importazione delle pipeline visto che i dati di dicembre non sono ancora disponibili.

Giappone ancora al comando per import gas ma la Cina metterà la freccia nel 2018

La Cina è ancora in ritardo rispetto al Giappone, che conta su importazioni annue di gas pari a circa 83,5 milioni di tonnellate, tutte tramite Gnl, ma l’import cinese ha già superato il Giappone in due occasioni quest’anno: a settembre e di nuovo a novembre, come dimostrano i dati governativi e i flussi di trasporto marittimo. Gli analisti dicono che la tendenza è ormai avviata e che Pechino dovrebbe superare Tokyo nel corso dell’intero 2018. “Sia il Gnl, sia i gasdotti, continueranno ad aumentare i flussi nei prossimi anni. Ci aspettiamo che la Cina superi il Giappone come il più grande importatore di gas del mondo nel 2018 – ha dichiarato Miaoru Huang, senior manager Asia per gas e Gnl della società di consulenza energetica Wood Mackenzie -. Ma il Giappone rimarrà l’importatore di gas naturale liquefatto numero uno fino al 2028 circa”.

La Cina acquista gas “spot”: prezzi raddoppiati in Asia da giugno

A partire dallo scorso anno scorso la Cina ha iniziato a “spostare” i consumi di milioni di famiglie e di molti impianti industriali dal carbone al gas come parte degli sforzi per “ripulire” l’aria dall’inquinamento, innescando un movimento senza precedenti di ordini di import dall’estero. I tre maggiori fornitori cinesi di gas naturale liquefatto sono Australia, Qatar e Malesia, mentre le importazioni tramite gasdotti provengono dall’Asia centrale e dal Myanmar. Infine, è in costruzione un gasdotto che collegherà già nel 2019 Cina e Russia. A differenza degli acquirenti consolidati di Gnl che importano la maggior parte dei loro carichi nel quadro di contratti a lungo termine con volumi mensili fissi e un collegamento al mercato petrolifero, molte utility statali cinesi acquistano Gnl sul mercato a pronti quando ne hanno bisogno con breve preavviso, come è avvenuto durante l’attuale stagione invernale di picco della domanda. Di conseguenza, i prezzi spot asiatici del Gnl sono più che raddoppiati da giugno raggiungendo gli 11,20 dollari per milione di unità termiche britanniche (mmBtu), i più alti da novembre 2014, rendendo il Gnl una delle materie prime più performanti del 2017. L’aumento della domanda cinese l’ha già spinta a superare la Corea del Sud nel 2017 come importatore di Gnl numero 2 al mondo.

La Cina pronta a sfidare il mondo anche nello shale gas

A testimonianza degli incredibili sforzi cinesi per incrementare i consumi di gas Fuling, il più grande campo cinese di shale gas, ha generato più di 6 miliardi di metri cubi nel 2017, secondo i dati riportati dal suo sviluppatore Sinopec. La produzione di gas dal campo ha avuto un aumento del 20 per cento anno su anno. Fino al 2017, Fuling che si trova nella zona sud-ovest del comune di Chongqing, ha prodotto più di 15 miliardi di metri cubi. Negli ultimi anni la nuova industria dello shale ha aiutato la regione a migliorare la sua struttura energetica e ad abbandonare le fonti energetiche tradizionali come il carbone. Si stima che 3 miliardi di metri cubi di shale gas equivalgano alla combustione di 6 milioni di tonnellate di carbone, riducendo le emissioni di anidride carbonica dunque, di 4,2 milioni di tonnellate. La Cina ha fatto progressi nell’esplorazione dello shale gas sia nella capacità che nelle tecniche di perforazione, rendendolo uno dei principali fornitori al mondo. Entro il 2020, le riserve verificate di shale gas supereranno gli 1,5 trilioni di metri cubi, secondo i programmi pubblicati dalle autorità nel 2017.

Tra il 2018 e il 2022 sarà la Cina a guidare la corsa ai gasdotti

Non solo. L’ultima analisi condotta da GlobalData sui gasdotti globali di trasporto/trasmissione di petrolio e gas per il periodo 2018-2022 mostra che il gasdotto Xinjiang-Guangdong-Zhejiang SNG in Cina è il gasdotto più lungo pianificato a livello mondiale con una lunghezza di 8.972 chilometri. Il gasdotto onshore dovrebbe entrare in funzione nel 2022: China Petrochemical Corp ha il 100% del capitale azionario nella pipeline, mentre China Petroleum & Chemical Corporation sarà l’operatore. Il tutto per un costo stimato di 30,1 miliardi di dollari. Il secondo gasdotto più lungo previsto nello stesso periodo, “Power of Siberia” è anch’esso localizzato in Cina con una lunghezza di 3.968 km e dovrebbe entrare in funzione nel 2019. China National Petroleum Corporation detiene il 100% del capitale azionario, mentre l’operatore sarà China National Petroleum Corporation per una spesa totale di 5,2 miliardi di dollari. Questo per quanto riguarda la parte cinese. Per quanto riguarda la parte da realizzare in Russia da cui proverrà la fornitura, l’infrastruttura rappresenterà il terzo gasdotto più lungo del periodo 2018-2022 con una lunghezza di 3.200 km per un costo totale di 20,1 miliardi di dollari.

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La azera CJSC stanzierà 1,3 mld di dollari per finanziare il Corridoio meridionale del gas

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Lo ha riferito il direttore generale della stessa CJSC Afgan Isayev. Il primo gas del progetto Shah Deniz-2 sarà consegnato alla Turchia nel 2018 e all’Europa nel 2019

La società “Southern Gas Corridor” CJSC dovrebbe stanziare circa 1,3 miliardi di dollari per finanziare la quota azera del progetto riguardante il Corridoio meridionale del gas. Lo ha riferito il direttore generale della stessa CJSC Afgan Isayev secondo il quale quest’anno si spenderanno 232 milioni di dollari circa per il progetto Shah Deniz (compreso Shah Deniz 1), 144 milioni di dollari per il gasdotto del Caucaso meridionale e il suo ampliamento, 728 milioni di dollari per il Tanap e 182 milioni di dollari per il Tap. Per garantire la fornitura di gas azero ai mercati europei, il presidente dell’Azerbaigian Ilham Aliyev ha firmato un decreto nell’ottobre 2013, che istituisce una Commissione statale con lo scopo di garantire il controllo e fornire sostegno all’attuazione dello sviluppo completo dei giacimenti e delle infrastrutture. Il primo gas del progetto Shah Deniz-2 sarà consegnato alla Turchia nel 2018 e all’Europa nel 2019. Il costo del progetto relativo al corridoio meridionale del gas è stimato complessivamente in 41,5 miliardi di dollari.

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Alverà (Snam): Italia avvantaggiata per essere un hub europeo del gas

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Secondo il Ceo dell’azienda italiana, intervistato da Bloomberg, già oggi il nostro “è uno dei mercati più diversificati al mondo”. Ma l’Europa ha “bisogno di più interconnessioni, convergenza e liquidità nel mercato”

Il baricentro del mercato europeo del gas è destinato a spostarsi verso il sud dell’Europa per effetto del declino della produzione britannica, trasformando potenzialmente l’Italia in un esportatore di gas grazie a Snam, uno dei principali operatori infrastrutturali europei. Sono le previsioni del Ceo di Snam Marco Alverà in un’intervista a Bloomberg.

“Forti di nuove forniture dovute a un gasdotto da 5,6 miliardi di dollari collegato con il Mar Caspio e di petroliere piene di gas liquido, Snam SpA e il suo Amministratore Delegato Marco Alvera stanno cercando di collocare l’Italia al crocevia del commercio del gas in Europa – scrive Bloomberg -. In caso di successo, gli sforzi di Alverà accelererebbero lo spostamento del mercato del gas dal Regno Unito verso i Paesi Bassi e l’Europa meridionale”. Queste zone, infatti, stanno assorbendo sempre più gas proveniente dalla Russia e dal sud, compensando il calo della produzione nel Mare del Nord. In tale contesto la rete di Snam diventerebbe ancora più importante se Alverà riuscisse a portare nuovi flussi sufficienti per trasformare l’Italia da consumatore a esportatore.

snam“L’Italia è geograficamente e geologicamente avvantaggiata per essere un hub europeo del gas. Già oggi è uno dei mercati più diversificati al mondo”, commenta Alverà, il quale auspica che la Brexit non sia dolorosa per il settore europeo ed esorta l’Europa a realizzare “più interconnessioni, convergenza e liquidità nel mercato”. Secondo Bloomberg, tuttavia, il trading hub del gas italiano, il PSV, è in ritardo rispetto a quello olandese (TTF) e a quello britannico (NBP): “Ciò che va a favore del PSV è che ha un’infrastruttura ragionevolmente buona, una rete nazionale ben consolidata e molteplici fonti di approvvigionamento”, ha dichiarato Patrick Heather, ricercatore senior presso l’Oxford Institute for Energy Studies sostenendo però che non diventerà mai un market price di riferimento come il TTF. Alverà ha comunque molte ambizioni per aumentare l’influenza di Snam e “sta lavorando a una nuova strategia industriale. Il programma è probabile che si baserà su investimenti per 5 miliardi di euro fino al 2021 e un obiettivo del 4% l’anno di crescita”, sottolinea Bloomberg evidenziando come i piani dell’azienda italiana stiano cominciando a mostrare i loro frutti: “Entro la fine del 2018 Snam avrà la possibilità di invertire la rotta di un gasdotto che collega Italia e Svizzera. Sta lavorando a un progetto simile su una linea che arriva dall’Austria. Ciò darà a Snam la possibilità di esportare gas verso la più ampia rete europea per la prima volta”.

Non solo. Entro il 2020 dovrebbe essere pronto il Tap per garantire l’approvvigionamento di gas lungo la rotta meridionale direttamente dal Mar Caspio contribuendo a ridurre la dipendenza dalla Russia. Inoltre, ha ricordato Alverà, gli importanti depositi di stoccaggio di cui dispone l’Italia danno al nostro paese una certa flessibilità nell’acquisto di gas e Gnl. “La pretesa dell’Italia di essere il cuore del futuro sistema del gas deriva dalle sue diverse fonti di approvvigionamento – scrive Bloomberg -. E’ direttamente collegato a gasdotti provenienti da Algeria, Libia e dalle linee dorsali che forniscono gas russo. Può anche prendere consegne dal Mare del Nord e ha tre terminali di importazione Gnl. È più vicino ai principali fornitori di gas naturale liquefatto in Medio Oriente di qualsiasi altro importante anello della rete europea. E’ vicino alle nuove scoperte in Egitto e Israele che potrebbero trovare la loro strada nel mercato europeo nei prossimi decenni”.

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BP: gas sorpasserà il petrolio come principale fonte energetica nel 2040

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Il carbone verrà soppiantato nel 2030. Sfida anche sulle perdite dei gasdotti stimante intorno all’1,3-1,4 per cento

BP prevede che il gas sorpasserà il petrolio come fonte di energia primaria del mondo nel 2040, in coincidenza con la crescita della domanda di combustibili fossili meno inquinanti. È quanto ha detto il vicepresidente dell’azienda Dominic Emery durante una conferenza sul gas a Vienna. Secondo Emery il gas – inteso come gas naturale, biogas, biometano, power-to-gas – surclasserà il carbone all’inizio del 2030 e il petrolio intorno al 2040.

gasIn termini di domanda di gas Emery ha individuato l’industria come particolarmente resiliente e il trasporto come un settore in rapida crescita, anche se da una base più bassa, con tassi annui del 3-4%. Infine, il vicepresidente di Bp ha sottolineato che una delle maggiori sfide per l’industria del gas è la riduzione delle perdite di metano dai gasdotti, che ha precisato, è stimata intorno all’1,3-1,4 per cento.

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Interconnessioni e gasdotti per collegare domanda e offerta del Mediterraneo

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È la conclusione a cui sono giunti regolatori dell’energia dei paesi dell’area (MedReg) nell’Outlook 2017. Regole chiare e riduzione dei rischi fondamentali per assicurare investimenti

Sono necessarie interconnessioni elettriche e gasdotti per collegare domanda e offerta e promuovere lo scambio di energia. Ma, trattandosi di infrastrutture energetiche a forte intensità di capitale, sono necessarie regole chiare e di lungo termine per ridurre i rischi e garantire la remunerazione del capitale. È la conclusione a cui sono giunti i regolatori dell’energia dei paesi del Mediterraneo (MedReg) nel rapporto dal titolo “Mediterranean Energy Regulatory Outlook 2017”.

gasdottoInterconnessioni necessarie per affrontare sviluppo economici e sociali della regione

La premessa del rapporto è che la domanda di energia della regione mediterranea sta cambiando rapidamente a causa dell’aumento di popolazione e della crescita economica dell’area. La maggior parte di questo incremento “dovrebbe concentrarsi nei paesi del Mediterraneo meridionale e orientale” ma a questi fattori si aggiunge un cambiamento “progressivo e rapido” anche dei mercati energetici del Mediterraneo, determinato dalla pressione “di molte forze trainanti – sottolinea il report 2017 di MedReg –. Il più importante è probabilmente la mitigazione dei cambiamenti climatici, che sta spingendo verso produzioni energetiche più sostenibili in termini di riduzione delle emissioni nell’atmosfera”. Per quanto riguarda, in particolare, il bacino mediterraneo, “le fonti energetiche rinnovabili e le misure di efficienza energetica sono fondamentali per affrontare gli sviluppi economici e sociali, sostenere la creazione di posti di lavoro e garantire un accesso più facile e sicuro all’energia, sfruttando al tempo stesso le potenzialità delle risorse naturali dei territori, come l’irradiazione eolica e solare. Ma ci sono notevoli risorse fossili come il petrolio e il gas naturale, sia nell’Africa settentrionale sia nell’offshore del Medio Oriente, che sono cruciali per le economie locali così come per la sicurezza dell’approvvigionamento dei paesi vicini”. Da qui la necessità di sfruttare tali risorse “spingendo” su gasdotti e interconnessioni elettriche verso l’Europa nel solco di un quadro regolamentare chiaro e di lungo termine.

Riconosciuta importanza Regolatori ma non tutti riescono ad operare al meglio

La maggior parte dei Paesi del Mediterraneo, infatti, osservano i regolatori, “ha riconosciuto il valore di un quadro normativo stabile, trasparente e solido in materia di energia, istituendo autorità di regolamentazione indipendenti dotate di poteri e risorse adeguati, e coinvolgendo le parti interessate a creare regolamenti basati su dati concreti con consultazioni e audizioni pubbliche. I processi che hanno portato a questi cambiamenti istituzionali sono stati talvolta lunghi e non facili. Sono stati registrati alcuni fallimenti e in alcuni paesi la regolamentazione non è pienamente autorizzata a proteggere i consumatori, a promuovere gli investimenti e gli sviluppi del mercato”. In sostanza, quasi tutte le autorità di regolamentazione mediterranee hanno recepito la loro funzione di sostegno alla “piena apertura dei mercati dell’elettricità e, ove possibile, del gas”, cooperando con le autorità garanti della concorrenza e l’Antitrust. Ad eccezione di Israele, Malta e Turchia, “esistono calendari nazionali per la piena apertura di questi mercati in tutti i paesi mediterranei”. Ma, sottolinea l’Outlook 2017, ci sono casi in cui “mentre si fissano le tariffe e si controlla il rispetto delle normative in materia di energia”, non tutti i regolatori “hanno poteri sufficienti per imporre sanzioni”. Inoltre, “il livello di indipendenza dai governi e dai Parlamenti non è sufficiente per proteggere i regolatori dell’energia da influenze indebite che possono modificare la regolamentazione, ad esempio in funzione delle politiche che possono derivare da cicli elettorali”.

Le autorità del MedReg hanno deciso di scambiarsi sempre più informazioni per affrontare le sfide

Per questo, a seguito delle loro esperienze, le associate a MedReg, hanno elaborato e dettagliato congiuntamente una serie di principi o requisiti per una buona regolamentazione al fine di adempiere alle loro missioni in una prospettiva di lungo termine. Inoltre, hanno anche recepito il fatto che è fondamentale far comprendere all’opinione pubblica e alle istituzioni nazionali “l’importanza di una regolamentazione efficace ed efficiente, che agisca in settori cruciali per le economie moderne”. Per aumentare anche le loro capacità, i regolatori hanno quindi deciso “di scambiarsi le loro esperienze e di condividere gli insegnamenti, per affrontare insieme le sfide che sono chiamate a combattere. È stato definito un intenso e ambizioso programma di sviluppo delle capacità per sostenere e rafforzare i regolatori dell’energia, sfruttando le competenze e le esperienze disponibili in MedReg. Le nostre aspettative sono di contribuire allo sviluppo sociale ed economico delle nazioni intorno ad un mare che da sempre è luogo di incontro di culture e persone, favorendo un quadro normativo armonizzato come base per una futura comunità energetica del Mediterraneo”, conclude l’Outlook.

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Perché Ankara indugia con Gazprom sul Turkish Stream

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La Turchia frustrata dalle scoperte di gas dei vicini rischia di provocare tensioni nell’area. Il blocco della Saipem 12000 prolungato fino al 10 marzo. Tutte le ultime novità da Ankara nell’approfondimento di Sebastiano Torrini per Energia Oltre

La Turchia sta indugiando di fronte alla richiesta della russa Gazprom di rilasciare i permessi per consentire l’inizio dei lavori nella parte onshore del gasdotto Turkish Stream. Alcune fonti lo hanno riferito a Reuters, alimentando – di fatto – i timori di possibili ritardi del progetto. Una volta completata, l’infrastruttura da 7 miliardi di euro, consentirà alla Russia di ridurre la sua dipendenza dall’Ucraina quale via di transito per le forniture di gas verso l’Europa.

PROBLEMI RUSSIA-TURCHIA PER LO SCONTO NELLE FORNITURE DI GAS?

Ankara ha già autorizzato il colosso russo ad avviare la costruzione delle due sezioni sottomarine del progetto, ma la mancanza del nullaosta per la parte terrestre rischia di alimentare tensioni. “La Turchia ostacola i colloqui sulla seconda linea verso l’Europa”, hanno detto le fonti a Reuters. Qualsiasi ritardo al progetto, promosso direttamente dal presidente Vladimir Putin, potrebbe confermare i dubbi già manifestati da alcuni analisti sul fatto che l’opera non sarà mai realizzata nella sua forma attuale.  Il Turkish Stream è progettato per garantire più forniture alla Turchia, il maggiore acquirente di gas russo dopo la Germania. Ma anche per assicurare a Mosca un nuovo sbocco verso l’Europa meridionale. Le intenzioni di Gazprom sono quelle di completare la costruzione del gasdotto nel 2019. Ma, secondo le fonti di Reuters, il problema dei permessi è correlato o a una diatriba tra Gazprom e la società statale turca Botas sul futuro sconto per gli approvvigionamenti russi oppure al fatto che non è stata ancora costituita una società comune per la parte terrestre del gasdotto. Gazprom ha già iniziato a posare le linee sottomarine del Turkish Stream, rispettivamente in Turchia e in Europa meridionale, sotto il Mar Nero. I tubi hanno una capacità complessiva di 31,5 miliardi di metri cubi di gas all’anno e per ora Gazprom ha già realizzato 884 km delle due linee, quasi la metà dell’intera parte sottomarina del gasdotto. I russi già forniscono gas ad Ankara facendolo affluire a Samsun sulla costa turca del Mar Nero attraverso un gasdotto sottomarino chiamato Blue Stream con una capacità di 16 miliardi di metri cubi all’anno.

NAVI TURCHE CONTINUANO A BLOCCARE LA SAIPEM 12000. TURCHIA FRUSTRATA DAI CONCORRENTI

Nel frattempo, come riporta Eurasia Daily, le navi da guerra turche continuano a bloccare la Saipem 12000 nella zona economica di Cipro. E il blocco potrebbe durare oltre il preventivato (22 febbraio), fino al 10 marzo, sempre per manovre militari in corso.  Per il Vice direttore del Fondo nazionale per la sicurezza energetica Alexey Grivach sono diversi i fattori che mantengono vivo il conflitto intorno ai giacimenti di petrolio e gas di Cipro: “Il fattore chiave è la lotta per le risorse. Ankara rivendica parte dello spazio di Cipro Nord. Naturalmente, sono ansiosi di ottenere le risorse del bacino del Levante per sviluppare il proprio hub, ma non ci riescono”, sottolinea l’esperto. In sostanza la Turchia, che cerca di trasformare il paese in un hub del gas per l’Europa, è frustrata da possibili concorrenti emergenti. Nel corso dell’ultimo decennio, infatti, diversi grandi giacimenti di gas sono stati scoperti nel Mar Mediterraneo da Israele, Egitto e Cipro. Nonostante ciò, tuttavia, il gas israeliano e cipriota non può competere con il gas russo né attraverso gasdotto né come Gnl, a causa dei costi. Secondo Charles Ellinas, nonresident senior fellow al Global Energy Center del Consiglio Atlantico, il gas proveniente da tali giacimenti non può essere venduto al prezzo medio europeo compreso tra 177 e 213 dollari per 1.000 metri cubi perché, ad esempio, il prezzo del gas israeliano del giacimento Leviathan è stimato in 160 dollari da Noble Energy, troppo costoso, dunque, indipendentemente dalla via di trasporto utilizzata, come ad esempio il gasdotto EastMed, per il quale la Commissione europea ha stanziato 34,5 milioni. Saipem-12000-drillship

ANKARE ESPLORA DA ANNI I FONDALI SENZA TROVARE NULLA

Dal 2000, la Turkish Petroleum Corporation (TPAO) esplora attivamente i giacimenti di petrolio e gas nel Mar Nero e nel Mediterraneo e insieme alle imprese occidentali ha investito diversi miliardi di dollari in indagini esplorative, acquistando e costruendo navi per i rilevamenti sismici. A differenza dei paesi vicini però, Ankara non ha riscontrato risultati significativi dalle esplorazioni e dipende ancora per il 99% dalle importazioni estere di gas. Contemporaneamente, l’apertura nell’arco di dieci anni dei giacimenti israeliani di Leviathan e Tamar – con riserve totali di 900 miliardi di metri cubi – di Zohr in Egitto – con 850 miliardi di metri cubi – e di Afrodite a Cipro –  con 127 miliardi di metri cubi – hanno sconvolto i piani di Ankara. Senza dimenticare che la Saipem 12000, prima di navigare verso il Blocco 3 ed essere fermata dai turchi, aveva condotto con successo la perforazione del Blocco 6 per conto di Eni e Total, alimentando ancora di più la frustrazione di Ankara. Frustrazione che potrebbe essere rinnovata da nuove esplorazioni intorno all’isola frutto dell’accordo tra Qatar ed ExxonMobil firmato lo scorso anno e che dovrebbe concretizzarsi quest’anno. Secondo quanto riferito dal professor Pamir, ordinario di politica energetica mondiale all’Università turca di Bilkent, al quotidiano Deutsche Welle Turkish, il recente scontro tra navi greche e turche nelle acque del decimo blocco esplorativo “potrebbe aumentare ulteriormente i rischi di un conflitto, facendo vacillare le già traballanti relazioni internazionali tra Turchia e Stati Uniti”. Di fatto, le politiche regionali di egemonia da parte di Ankara non sono più semplicemente collegate alle minacce percepite dal PKK o in Siria, ma sono collegate alle risorse energetiche.

RISCHIO DI UN CONFLITTO?

Anche per Cyril Widdershoven, che svolge un ruolo consultivo in diversi Think Tank internazionali “si prepara una guerra”, ha scritto su oilprice. Non solo per via della Turchia ma anche di Libano e Siria che stanno entrando nella partita del gas. “La mossa del Libano nelle ultime settimane di appaltare i blocchi offshore vicino al confine marittimo con Israele” ha portato Tel Aviv ad “avvertire apertamente le compagnie internazionali di tenersi alla larga da queste aree, in quanto ciò sarà vista come una minaccia alla sicurezza israeliana”. Allo stesso tempo “Hezbollah ha minacciato direttamente le operazioni offshore di petrolio e gas israeliano”. Il 2018 potrebbe quindi vedere una “prova di forza tra Hezbollah e Israele, ma su scala molto più ampia di prima” mentre le minacce e i conflitti marittimi “potrebbero colpire contemporaneamente altri trasporti petroliferi. Un conflitto militare completo che coinvolga l’area offshore di Cipro-Libano-Israele potrebbe bloccare le rotte di transito del petrolio di Ceyhan (Turchia). Allo stesso tempo, un conflitto diretto tra Cipro e Turchia potrebbe coinvolgere anche i greci, minacciando direttamente le vie di transito attraverso il Bosforo”.

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Perché anche la Bulgaria vuole diventare un hub del gas

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Le mosse di Sofia e dell’Unione europea, il ruolo della Russia e le esplorazioni delle compagnie straniere nel Mar Nero per trovare petrolio e gas

La Bulgaria potrebbe diventare a stretto giro, un crocevia fondamentale delle forniture di gas europee. Sofia ha avviato, infatti, uno studio di fattibilità per verificare la possibilità di trasformare il paese in un hub di transito per il gas russo diretto in Europa concentrandosi, in particolare, sulla nascita di un polo commerciale per il combustibile a Varna, uno dei principali porti bulgari sul Mar Nero.

LA COMMISSIONE UE APPOGGIA IL PROGETTO BULGARO

Nel realizzare il suo piano la Bulgaria non è comunque sola. La Commissione europea ha deciso da tempo di supportare i piani del paese dell’Est Europa, soprattutto dopo la cancellazione del  progetto South Stream nel 2014 che avrebbe dovuto trasportare gas russo sotto il Mar Nero direttamente in Bulgaria e di lì verso l’Europa centrale. La cancellazione di South Stream è stata, infatti, un duro colpo per il paese, che si affida quasi esclusivamente al gas russo per le sue forniture. Per questo Sofia spera che con il progetto di creazione di un hub del gas nei Balcani possa mantenere costante il flusso di combustibile russo attraverso il suo territorio, sulla rotta verso l’Europa centrale.

COMMISSARIO SEFCOVIC: VOGLIAMO UNA LIQUIDITÀ DEL GAS MOLTO FORTE NELLA REGIONE

Nel quadro della programmazione delle future mosse, Bulgartransgaz, la società di Stato attiva nel settore del gas, ha firmato un contratto da 1,5 milioni di dollari con un consorzio bulgaro-svizzero, la AF-EMG Consult, per condurre uno studio di fattibilità sull’operazione di realizzazione dell’hub, da completare entro l’inizio di luglio. Lo ha riferito lo stesso ministero dell’Energia bulgaro aggiungendo che l’Unione Europea si è impegnata a stanziare 920mila euro per lo studio. Anche il vicepresidente della Commissione europea Maros Sefcovic ha ribadito il sostegno di Bruxelles al piano, che, a suo dire, contribuirà a rafforzare la liquidità del gas e la sicurezza energetica nell’Europa sudorientale: “La Bulgaria ha un ottimo sviluppo delle interconnessioni, sia quelle attualmente in costruzione sia quelle in corso di realizzazione. L’idea è quella di avere una liquidità del gas molto forte nella regione. Ciò è fortemente sostenuto dalla Comunità europea e il nostro obiettivo è trasformare la Bulgaria da paese di transito del gas in paese per il trading del gas. Vogliamo che l’hub del gas proveniente da varie direzioni nei Balcani sia efficiente”. Attualmente la Bulgaria trasporta circa 12 miliardi di metri cubi all’anno di gas russo attraverso la Turchia, ma tali forniture potrebbero cessare nel 2019 se la Russia realizzerà il suo piano di completamento del gasdotto TurkStream. La Bulgaria spera inoltre di attrarre il gas azero e le forniture di Gnl dalla Grecia, dal Qatar e da altri paesi per acquisire un ruolo centrale all’interno dei Balcani

I COSTI? TRA 1,4 E 2,4 MILIARDI DI EURO

Il costo della costruzione dell’hub è stimato tra gli 1,4 e i 2,4 miliardi di euro. Di fatto si utilizzerebbero i gasdotti esistenti e quelli in corso di realizzazione in Bulgaria, nonché i collegamenti di interconnessione che sta costruendo con la Romania, la Serbia e la Turchia e, in ultima analisi, un gasdotto sottomarino proveniente dalla Russia. Mosca dal canto suo non si è ancora impegnata ad approvvigionare il progetto di hub della Bulgaria e la sua portata sarebbe limitata se non riuscisse ad attrarre gas russo. Mosca ha dichiarato che considererà l’hub solo se avrà garanzie che il progetto non sia in contrasto con le norme dell’Unione europea in materia di energia. 

BULGARTRANSGAZ STA ACQUISTANDO GLI ASSET DI SOUTH STREAM BULGARIA PER REALIZZARE IL PIANO HUB

Intanto Bulgartransgaz ha annunciato l’intenzione di acquistare 28 proprietà di South Stream Bulgaria, la vecchia joint venture creata dalla russa Gazprom e dalla holding statale Bulgarian Energy Holding. Le proprietà hanno un valore totale stimato di 6,7 milioni di euro, secondo quanto dichiarato dalla stessa Bulgartransgaz che, precisa il sito Novinite, dovrebbe utilizzare questi asset proprio per realizzare l’hub del gas vicino al porto di Varna. L’area costituirebbe un polo di attrazione per Grecia, Romania, Ungheria, Croazia, Slovenia e, attraverso tali paesi, per gli Stati membri dell’Europa centrale e occidentale, nonché per Serbia, Macedonia e Bosnia-Erzegovina.

LA BULGARIA VUOLE ANCHE PRODURRE GAS E PETROLIO

Sofia non vuole però essere solo un soggetto passivo dell’operazione gas. Il governo bulgaro ha annunciato di voler estendere per altri due anni il permesso di esplorazione di petrolio e gas affidato a Total (40%), OMV e Repsol (30% ciascuno) nel blocco offshore Han Asparuh 1-21 nel Mar Nero. Durante questi due anni, le aziende realizzeranno ulteriori opere geofisiche per un totale di 3 milioni di euro nel blocco. Il blocco 1-21 Han Asparuh si trova in mare aperto nel settore bulgaro nella parte occidentale del Mar Nero e copre un’area di 14.220 km quadrati con profondità d’acqua fino a 2.200 m. A settembre dello scorso anno, le società hanno avviato la seconda perforazione in acque profonde del blocco per ottenere dati aggiuntivi sul potenziale di idrocarburi. Le compagnie hanno ottenuto il permesso per la prospezione e l’esplorazione nel 2012. Secondo i termini del contratto, si sono impegnati a investire oltre 1 miliardo di euro nel processo mentre la Bulgaria riceverà 40 milioni di euro sotto forma di un bonus.

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Snam alza l’asticella sul futuro. Ecco il piano industriale al 2021

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Alverà: Tap operativo al 2020 e si valuta il Turkish Stream. Ci interessa molto il biometano.  Articolo Sebastiano Torrini

Snam alza l’asticella degli obiettivi nell’aggiornamento al piano industriale al 2021. E presenta il nuovo marchio a sei anni dallo scorporo da Eni, con più verde nei colori, a sottolineare la svolta verso una maggiore efficienza energetica e lo sviluppo del biometano. Con un utile 2017 in crescita, un utile netto adjusted a oltre l’11% a 940 milioni, un dividendo salito del 2,5% a 21,55 centesimi e un flusso di cassa operativo di 1,86 miliardi, Snam ha aggiornato il piano 2017-2021 incrementando del 10% gli investimenti, portandoli a quota 5,2 miliardi di euro.

I PUNTI SALIENTI DEL PIANO

L’obiettivo principale è lo sviluppo delle infrastrutture italiane e la loro interconnessione con quelle europee. Per questo 4,6 miliardi sono stati destinati alla rete di trasporto, inclusa la rete ad alta pressione in Sardegna, insieme a Sgi, che da sola vale “300 dei 500 milioni aggiuntivi” e il collegamento con il Tap, che “partirà al 2020 come previsto”. Tra le altre novità sono presenti il completamento del ‘reverse-flow’ dei gasdotti verso Austria e Svizzera, 600 milioni di euro per lo stoccaggio e la rigassificazione, compresa la manutenzione e la sostituzione di tratti di 650 Km di rete di trasporto, e 360 milioni in innovazione, per l’efficienza energetica interna e la riduzione delle emissioni, 200 milioni di contributo alle consociate. Infine occhio di riguardo a sostenibilità ambientale (nel settore del metano) e biometano.

snamPER ALVERA’ TAP OPERATIVO DAL 2020

Snam ha conferma che l’avvio del gasdotto Tap, di cui controlla il 20%, avverrà nel 2020. L’indicazione è stata fornita direttamente dall’ad Marco Alverà: “L’opera è completa al 70%, i lavori proseguono, pensiamo di iniziare presto la parte più complessa. Si tratta di un’opera strategica sia per l’Italia che per l’Europa”, la cui capacità può essere “raddoppiata con poca spesa”.

POSSIBILE VALUTAZIONE SU ENTRATA IN TURKISH STREAM

“Ci piacerebbe valutare se ci sono opportunità” nel progetto Turkish Stream, il progetto di gasdotto russo-turco “ma per ora non c’è niente di preciso”, ha ammesso Alverà. La fase 2 del Tap “è un’opportunità molto più concreta – ha rilevato l’ad di Snam -. Siamo già soci del Tap e si può raddoppiare la sua capacità con relativamente poca spesa perché si tratterebbe di usare l’infrastruttura esistente aumentando semplicemente la pressione”.

ALVERA’: 300 MLN CAPEX PER METANIZZAZIONE SARDEGNA

Dei 500 milioni euro di ulteriori investimenti annunciati da Snam nell’aggiornamento del piano al 2021 il gruppo ne investirà 300 per la metanizzazione della Sardegna attraverso la definizione di un veicolo congiunto di cui avrà la maggioranza insieme a Sgi (Società Gasdotti Italia). “Non ci dispiace avere dei soci, ma vogliamo comunque avere la leadership industriale. Dopo la fase di studio siamo pronti a partire nei prossimi mesi”, ha detto Alverà. “Abbiamo definito un accordo di massima con Sgi che andremo poi a dettagliare nei prossimi giorni. Avremo la maggioranza di un veicolo congiunto: così come in altri paesi in Francia, l’Austria, non ci dispiace avere dei soci, non necessariamente dobbiamo fare tutto noi, quello che ci interessa è avere un sorta di leadership industriale. Dopo l’accelerazione delle settimane scorse contiamo di iniziare la fase di studio di dettaglio nel corso di quest’anno con la possibilità di partire nei prossimi mesi con gli investimenti”.

A META’ 2018 PRIMA STAZIONE RIFORNIMENTO METANO A PESARO

Snam ha intenzione di promuovere sia direttamente si attraverso l’ingresso sul mercato di nuovi operatori, lo sviluppo della g-mobility, la mobilità sostenibile a gas naturale, attraverso la realizzazione di nuove stazioni di rifornimento a gas naturale compresso in Italia. La prima stazione di rifornimento a metano realizzata da Snam, secondo quanto emerge dall’aggiornamento del Piano 2017-2021, è prevista nella seconda metà del 2018 a Pesaro. Nel corso del 2017 è stata creata la nuova società a’Snam4Mobility‘ e al momento sono contrattualizzate 19 stazioni.

ALVERA’: ACCORDO SUL METANO CON FCA VA MOLTO BENE

“L’accordo con Fca sta andando molto bene. Altri produttori stanno seguendo questa strada. In generale”, quello delle auto a metano “è un mercato che sta crescendo molto”, ha detto Alverà. Snam e Fca hanno un accordo per favorire il gas compresso come  carburante per autotrazione, allargato “ad altre case automobilistiche come il gruppo Volkswagen”

BIOMETANO: GIRO D’AFFARI IN FORTE CRESCITA 

Grande interesse da parte di Snam anche per il biometano, che “ci piace molto, perché è rinnovabile” e, secondo uno studio europeo, arriverà a 122 miliardi di metri cubi nel 2050. Attualmente è già attivo un allacciamento in Lombardia e sono state fatte 515 richieste di allacciamenti, di cui 17 già accolte. L’attuale produzione nazionale di biogas è già equivalente a quanto necessario per ricavare circa 3 miliardi di metri cubi di biometano l’anno. A oggi Snam ha già ricevuto “circa 500 richieste di allacciamento alla rete da potenziali produttori” e la nuova regolamentazione sul biometano nei trasporti “potrebbe favorire una ulteriore crescita del mercato”.

GNL: SI GUARDA ALLO SMALL SCALE LNG

Snam sta inoltre studiando opportunità nello Small scale Lng e nei depositi costieri, “che potrebbero rappresentare opportunità di investimento interessanti per rafforzare il ruolo della società nella transizione energetica ed a supporto dello sviluppo dell’utilizzo del gas e Lng nei trasporti privati e pesanti”.

ALVERA’, SU M&A C’E’ GARA IN CORSO, GUARDIAMO OPPORTUNITA’ STOCCAGGIO

Sulle M&A “non commentiamo su specifiche transazioni, c’è una gara in corso” mentre “sugli stoccaggi siamo la seconda società al mondo, tolti i big, per quantità di stoccaggi, è un know-how di cui siamo fieri e guardiamo ad opportunità, più che di M&A parliamo di progetti strategici” ha detto Alverà rispondendo ad una domanda sulla gara per rilevare una quota del 66% del gestore della rete gas Desfa e su possibili nuove opportunità di creazione di valore non previste da piano.

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Snam sbarca con una joint venture in Albania

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L’accordo si inquadra nell’ambito delle attività avviate dalla business unit Snam Global Solutions con l’obiettivo di valorizzare e mettere a disposizione di altri operatori a livello globale l’esperienza consolidata dell’azienda

Snam e Albgaz, l’operatore infrastrutturale del mercato gas in Albania, hanno firmato a Tirana un accordo per dare vita a una joint venture, a controllo congiunto, finalizzata a fornire i servizi connessi alla gestione e manutenzione (O&M) dei gasdotti sul territorio albanese. La joint venture sarà partecipata al 75% da Albgaz e al 25% da Snam.

FIRMA JOINT VENTURE AL TERMINE DI UNA GARA INTERNAZIONALE DI ALBGAZ

La sottoscrizione del contratto di joint venture segue la conclusione di una gara internazionale indetta da Albgaz per la selezione di un partner qualificato in grado di supportare la società albanese e apre a future potenziali collaborazioni tecniche per lo sviluppo del mercato del gas locale. L’accordo si inquadra nell’ambito delle attività avviate dalla business unit Snam Global Solutions con l’obiettivo di valorizzare e mettere a disposizione di altri operatori a livello globale l’esperienza consolidata di Snam nello sviluppo del mercato e nella realizzazione e gestione di infrastrutture del gas in Italia e in Europa.

ALBGAZ È NATA NEL 2017 PER REALIZZARE E GESTIRE LE INFRASTRUTTURE GAS DEL PAESE

Albgaz è stata creata nel gennaio 2017 e ha la responsabilità della realizzazione e gestione delle infrastrutture per il mercato del gas albanese.

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L’Ue prova a ridisegnare la governance di gas ed elettricità

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Il Nord Stream 2 rischia di venire coinvolto dagli emendamenti di Bruxelles mentre l’Acer è pronta ad aggiornarsi per “accogliere” le rinnovabili

Modifiche in vista all’interno dell’Unione europea per quanto riguarda la governance dei settori gas ed elettricità. Nel primo caso si tratta di una serie di emendamenti che la Commissione europea ha proposto alla direttiva sul mercato del gas che se approvati, determineranno un drastico trasferimento di poteri dagli Stati membri alla Ue. Il secondo caso riguarda il mandato conferito alla presidenza del Consiglio dell’Unione Europea di negoziare con il Parlamento europeo un aggiornamento del ruolo dell’Agenzia Europea per la Cooperazione dei Regolatori dell’Energia (Acer).

ALLARME SUL NORD STREAM 2 E I FUTURI GASDOTTI ESTERNI ALL’UE

nord stream 2A segnalare gli sforzi della Commissione europea nel modificare la direttiva sul mercato del gas per trasferire poteri a livello centrale e ostacolare gli sforzi per realizzare il Nord Stream 2, sono i professori Kim Talus (Tulane University, New Orleans) e Bent Ole Mortensen (Università di Odense, Danimarca) in una lettera pubblicata dal Financial Times. Il nuovo regolamento, avvertono i due accademici, “darebbe alla Commissione poteri quasi illimitati sui futuri gasdotti provenienti da paesi terzi”. La Commissione europea propone, infatti, che il Parlamento europeo e il Consiglio decidano di estendere l’applicabilità della direttiva Ue sui mercati del gas e di altre parti della normativa europea in materia di energia, ai gasdotti esterni che immettono il gas nei mercati dell’Unione. L’estensione significherebbe che l’applicabilità della cosiddetta “merchant exemption” (il quadro normativo per gli investimenti infrastrutturali su larga scala), su cui la Commissione ha l’ultima parola, verrebbe estesa ai gasdotti esterni. “La proposta crea un conflitto con la legislazione dei paesi terzi, cui porrebbe rimedio mediante accordi negoziati dalla Commissione. Gli Stati membri non sarebbero più autorizzati a negoziare tali accordi. Fino a che punto gli Stati membri sono disposti a spingersi per complicare un progetto? Mentre la proposta cerca di definire un regime giuridico applicabile solo al Nord Stream 2, l’impatto si applicherebbe a qualsiasi futuro progetto di gasdotto che porti gas nell’Ue”, ammettono Talus e Mortensen.

RIDEFINIRE I COMPITI DELL’ACER IN CHIAVE DI MAGGIORE INTEGRAZIONE DEI MERCATI E DEGLI SCAMBI TRANSFRONTALIERI energivore

Discorso di tutt’altro impatto quello per il settore elettricità. L’avvio dei negoziati con il Parlamento Ue per ridefinire il ruolo dell’Acer ha come obiettivi principale quello di “migliorare la collaborazione tra i regolatori nazionali dell’energia elettrica e del gas aggiornando i compiti dell’agenzia”. Tutti gli Stati membri hanno accettato, infatti, la necessità di adeguare il quadro legislativo esistente per ridefinire il modo in cui funziona l’agenzia, il suo ruolo e il suo mandato. Questo adattamento copre, in particolare, i compiti del direttore e del comitato dei regolatori composto dagli alti rappresentanti delle autorità nazionali di regolamentazione degli Stati membri che verranno ridefiniti. L’Acer è già attiva nel campo della vigilanza del mercato all’ingrosso e aiuta ad affrontare le questioni transfrontaliere, ma con le novità in corso di approvazione si dovrebbe garantire una “maggiore integrazione dei mercati” in vista del passaggio a una produzione di elettricità più variabile che “rende necessari ulteriori sforzi per coordinare le politiche energetiche nazionali con quelle dei paesi vicini e per sfruttare meglio le opportunità offerte dagli scambi transfrontalieri di elettricità”. L’Agenzia ha già migliorato in passato il coordinamento tra i regolatori sulle questioni transfrontaliere dopo il suo lancio ufficiale a marzo 2011. Dalla sua creazione, ha ricevuto infatti, importanti nuovi compiti relativi al monitoraggio dei mercati all’ingrosso e nell’area delle infrastrutture energetiche transfrontaliere. I nuovi compiti e competenze regolatorie saranno concessi ora all’agenzia solo se vi sarà un coinvolgimento adeguato degli Stati membri, ammette una nota del Consiglio. E ciò sarà garantito attraverso una legislazione adottata secondo la procedura legislativa ordinaria o mediante atti di esecuzione i cui negoziati veri e propri dovrebbero iniziare ormai sotto la presidenza austriaca nonostante la proposta di modifica originaria risalga al 30 novembre 2016.

MINISTRO BULGARIA: LA PROPOSTA DI REVISIONE DEL REGOLAMENTO ACER È L’ULTIMO ATTO GIURIDICO DEL PACCHETTO ENERGIA PULITA

“Il Consiglio Energia Ue, ha concordato un testo per un orientamento generale sulla proposta di revisione del regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sull’istituzione di un’Agenzia dell’Unione europea per la cooperazione fra i regolatori nazionali dell’energia – ha sottolineato in una nota Temenuzhka Petkova, ministro dell’Energia della Bulgaria attualmente alla guida del semestre Ue –. La proposta di revisione del regolamento Acer è l’ultimo atto giuridico del pacchetto Energia pulita per tutti gli europei, sul quale il Consiglio ha finalmente raggiunto un approccio generale. L’Acer svolge un ruolo importante nel facilitare la cooperazione tra i regolatori nazionali dell’energia. Dopo intensi negoziati, l’accordo raggiunto oggi è equilibrato e ci offre un’ottima base su cui iniziare i colloqui con il Parlamento europeo”.

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Per Costa consumi italiani gas in calo. Ma i numeri dicono altro

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Intanto Beneamati (Pd) presenta un’interrogazione per avere una risposta sul futuro dell’opera la cui mancata realizzazione rischia di minare la diversificazione e la sicurezza delle fonti di approvvigionamento contravvenendo alla Sen

I consumi italiani di gas? Tutt’altro che in calo stando ai numeri che contraddicono le affermazioni del neo-ministro dell’Ambiente Sergio Costa che qualche giorno fa a Reuters ha detto: “Il fascicolo Tap è sul tavolo e lo stiamo già affrontando, con priorità, considerando chiaramente che siamo al terzo giorno di lavoro appena. Il presupposto è che vista la strategia energetica, visti i consumi di gas in calo, quell’opera oggi appare inutile”.

CONSUMI ITALIANI GAS IN POSITIVO DA 13 TRIMESTRI. NEL 2017 +6,1%

In realtà l’Italia vede il segno positivo sui consumi di gas da ben 13 trimestri consecutivi. Solo lo scorso anno, preso complessivamente nel 2017 i consumi sono aumentati del 6,1% rispetto al 2016 e di ben l’11,6% sul 2015, anno di rottura di una lunga tendenza di contrazioni. Per nove mesi il segno è stato positivo, con gennaio, stretto dal grande freddo, che ha segnato un +22%. Insomma lo scorso anno secondo le elaborazioni di Staffetta Quotidiana sui dati di Snam Rete Gas, in Italia si sono consumati quasi 74,7 miliardi di mc, 4,3 miliardi in più rispetto al 2016, ma ancora oltre 11 miliardi in meno (il 13,3%), rispetto al massimo di sempre del 2005 che lascia quindi ampi margini per ulteriori incrementi rispetto al periodo pre-crisi.

NEI PRIMI MESI DEL 2018 TENDENZA È 1,8%

Stesso discorso per i primi mesi di quest’anno, in base ai dati del Mise “tendendo presente che ogni singolo mese non è significativo perché su periodi così brevi sono sufficienti un paio di giorni più freddi o più caldi per sposare l’asse dei consumi”, scrive Il Sole 24 Ore sottolineando che a gennaio c’è stato un forte calo con 8,8 miliardi di metri cubi (-20,8% rispetto al gennaio 2017) compensato da una crescita forte in febbraio, 8,9 miliardi di metri cubi pari a +11,9%. A marzo l’Italia ha bruciato 8,2 miliardi di metri cubi pari a una crescita record del +27,1%, ad aprile c’è stata una leggera riduzione dei consumi a 4,7 miliardi di metri cubi (-2,4% rispetto all’aprile 2017)”. Mentre a maggio, anticipa Il Sole24 Ore “l’andamento lascia pensare a una ridiscesa della domanda nell’ordine del 9% ma intanto la tendenza complessiva dei primi quattro mesi dell’anno dice che la domanda del quadrimestre è in crescita del +1,8% rispetto ai primi quattro mesi del 2017”.

CRESCONO ANCHE CONSUMI GPL E GNLgas

Ma non è tutto perché nella recente Assemblea annuale di Assogasliquidi-Federchimica si è evidenziato come siano cresciute le immatricolazioni per le auto alimentate a Gpl (acronimo per Gas di petrolio liquefatti), cresciute lo scorso anni del 27%, portando la quota sul mercato totale al 6,5 per cento. E ci sia stato un vero e proprio boom dei consumi per il Gas naturale liquefatto (Gnl): +50% nel 2017.

MINISTRO COSTA VUOLE RIVEDERE LA VALUTAZIONE DI IMPATTO AMBIENTALE

Il ministro Costa ha però deciso di proseguire per la sua strada: “Per la Tap c’è un fascicolo, è una delle mie priorità. Il momento più importante è quello di andare a verificare la valutazione di impatto ambientale, quindi quali sono i termini ambientali della Tap, e questo lo stiamo studiando con i tecnici. Ci stiamo confrontando perché devo capire fino in fondo lo schema di valutazione”, ha detto a margine dell’incontro con la stampa al dicastero.

BENAMATI (PD) PRESENTA INTERROGAZIONE E RICHIAMA LA SEN E LE PAROLE DEL PRESIDENTE BOCCIA: CON TAP SI RAFFORZA DIVERSIFICAZIONE FONTI DI APPROVVIGIONAMENTO E SICUREZZA SISTEMA-GAS ITALIANO ED EUROPEO

Quasi in contemporanea il deputato Pd, Gianluca Benamati, ha presentato una interrogazione parlamentare per chiedere al ministro Costa e a quelli dello Sviluppo economico e per il Sud “quale siano gli orientamenti in merito al futuro del progetto Trans Adriatic Pipeline (TAP) per la realizzazione del gasdotto che trasporterà gas naturale dalla regione del Mar Caspio direttamente in Europa permettendo all’Italia di diversificare le fonti di approvvigionamento e la sicurezza della tenuta del sistema”. Secondo quanto riferito da diverse agenzie di stampa, spiega Benamati, “il ministro dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare avrebbe dichiarato l’inutilità del citato corridoio del gas, sposando la tesi contraria a quella indicata nella SEN, la Strategia energetica nazionale adottata lo scorso novembre che prevede la realizzazione di nuove infrastrutture per l’approvvigionamento di gas e in particolare il TAP che trasporterà circa 10 miliardi di metri cubi di nuovo gas dall’Azerbaijan direttamente in Italia a partire dal 2020 rafforzando così la diversificazione delle fonti di approvvigionamento e la sicurezza del sistema-gas italiano ed europeo”. Inoltre, aggiunge il deputato Pd “nella transizione verso un’energia libera da fonti fossili, il gas naturale riveste un ruolo centrale e anche il Presidente di Confindustria Boccia ha sottolineato che ‘la crescita garantisce la stabilità e non il contrario. Bisogna puntare sulle infrastrutture, per collegare le periferie al centro, il nostro Paese al resto del mondo. Bisogna insistere con il terzo valico, il TAP, la Tav’ e che ‘se passa l’idea che a ogni cambio di governo cambia la strategia infrastrutturale è la nostra credibilità che viene meno’, specie in quell’Europa definita come ‘la nostra casa comune’”.

melendugno tapOGGI INCONTRO TRA RAPPRESENTATI BEI E COMUNE DI MELENDUGNO

In questo quadro è atteso per oggi (14 giugno, ndr) l’incontro in Salento tra una delegazione della divisione Società Civile della Banca Europea per gli Investimenti – che ha accordato un finanziamento per 1,5 miliardi di euro all’opera – con i rappresentanti del Comune di Melendugno ma non dei cittadini che avrebbero voluto presenziare con alcuni avvocati. Una decisione contro cui la stessa Bei ha precisato in una nota che “non ha titolo per negoziare nulla in relazione al merito del progetto (inclusi, tra l’altro, gli aspetti legali), o alle rimostranze individuali delle parti interessate. Quindi, coerentemente con la natura, lo spirito e l’obiettivo dell’incontro, il personale della Bei che vi parteciperà non sarà assistito da consulenti legali”. L’obiettivo dell’incontro, ha specificato la Bei, è quello di “ascoltare e capire le loro istanze personali riguardo al progetto, nonché chiarire ulteriormente il ruolo della Bei quale possibile finanziatore”.

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Per le Big Oil il gas è la risposta al riscaldamento globale

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La Conferenza mondiale sul gas di Washington ha ribadito il suo ruolo come combustibile del futuro dando ragione al rapporto dell’Agenzia internazionale per l’energia del 2011 sull’avvento di una potenziale “età dell’oro”

Per ridurre le emissioni e fornire elettricità a prezzi accessibili, il mondo deve bruciare più combustibili fossili, non meno. Questo è il messaggio che le più grandi aziende energetiche del mondo, racconta Bloomberg, hanno lanciato alla Conferenza mondiale sul gas di Washington questa settimana, durante la quale hanno sostenuto a gran voce il ruolo del gas naturale come combustibile del futuro, piuttosto che come semplice carburante per colmare il divario verso le energie rinnovabili.

NEL 2011 L’AIE PARLAVA DELL’AVVENTO DI UN’ETÀ DELL’ORO DEL GAS SUSCITANDO ILARITÀ

E pensare che nel 2011 l’Agenzia internazionale per l’energia parlava di una potenziale “età dell’oro del gas”, suscitando ilarità tra gli esperti del settore visto il crollo dei costi delle rinnovabili e la crescita costante dell’uso del carbone in alcune parti dell’Asia che sembravano aver contribuito a soffocare il potenziale di un cambiamento significativo del mix energetico globale verso il gas. Sette anni dopo, il giudizio positivo sul gas è stato almeno in parte confermato.

TRA IL 2010 E IL 2017 IL CONSUMO DI GAS È CRESCIUTO PIÙ RAPIDAMENTE DI QUALSIASI ALTRO COMBUSTIBILE FOSSILE

Nel periodo 2010-17 il consumo di gas è cresciuto, infatti, più rapidamente di qualsiasi altro combustibile fossile e i suoi vantaggi in termini di flessibilità, minore inquinamento e minori emissioni di gas a effetto serra sono sempre più interessanti per gli acquirenti in molte parti del mondo. L’ultimo rapporto dell’Aie sulle prospettive del gas, pubblicato la scorsa settimana, prevede che la domanda globale cresca in media dell’1,6 per cento all’anno fino al 2023, una cifra molto diversa dalla crescita media annua prevista per il consumo di petrolio, pari a circa l’1,4 per cento, ma sensibilmente più elevata. La crescita della domanda dovrebbe essere trainata principalmente dai mercati asiatici emergenti, in particolare dalla Cina. L’Aie prevede che il paese orientale rappresenterà un terzo della crescita della domanda mondiale di gas fino al 2022, in parte grazie al suo impegno a contenere l’uso del carbone e a ridurre l’inquinamento atmosferico locale. Un punto che colpisce nell’analisi dell’Aie, tuttavia, è che il gas per la produzione di energia elettrica e per uso residenziale e commerciale dovrebbe rimanere una fonte minoritaria di domanda in Cina al contrario dell’uso industriale e petrolchimico che rappresenterà il principale motore di crescita del consumo di gas cinese.

DAL GAS LA RISPOSTA A PIÙ ELETTRICITÀ E MINORI EMISSIONI SECONDO SHELL

Nel frattempo, il mondo sta affrontando una duplice sfida: quella di aumentare la fornitura di energia elettrica – che secondo Royal Dutch Shell Plc deve aumentare cinque volte nei prossimi 50 anni – e quella di ridurre le emissioni per raggiungere gli obiettivi di cambiamento climatico. Secondo le aziende energetiche, il gas ha un duplice vantaggio: se utilizzato per la produzione di energia, rispetto al carbone produce la metà delle emissioni di Co2, è abbondante e relativamente economico. La “grande sfida per noi del settore è aiutare le persone a riconoscere il gas come carburante di destinazione, non solo come carburante di transizione”, ha dichiarato Bob Dudley, amministratore delegato di BP Plc, nel corso di una tavola rotonda raccontata da Bloomberg. “C’è un altro schieramento, uno schieramento che stupisce, intento invece a screditare il gas come opzione”. Si tratta, in sostanza di una parte della politica e dell’opinione pubblica mondiale secondo cui, riferisce il quotidiano, i combustibili fossili, gas compreso, stanno causando i cambiamenti climatici e dovrebbero essere gradualmente eliminati. “Il gas non sarà una soluzione per la povertà in un mondo in cui il cambiamento climatico sta portando più persone alla povertà”, se le emissioni di metano continuano, ha detto Rachel Kyte, Rappresentante Speciale del Segretario Generale delle Nazioni Unite per l’Energia Sostenibile per Tutti, secondo quanto riferito sempre da Bloomberg.

IL GAS COME COMPLEMENTO ALLE RINNOVABILI

Secondo De la Rey Venter di Shell, riporta ancora Bloomberg, il gas dovrebbe essere visto anche come un complemento alle energie rinnovabili per quando le condizioni atmosferiche riducono la produzione di energia eolica e solare. “Se si vuole davvero avere molta energia rinnovabile nel proprio mix energetico, è necessario avere una spina dorsale nel mix energetico rappresentata proprio dal gas. Questo concetto del gas come fattore finale di penetrazione profonda delle rinnovabili in un mix energetico è molto forte”. Mike Wirth, Ceo di Chevron, ha avvertito infatti che concentrarsi esclusivamente sulle rinnovabili rischia di ignorare le esigenze dei paesi in via di sviluppo, dove un miliardo di persone non ha accesso all’elettricità. “Ognuna di queste persone merita l’accesso a un’energia affidabile e a prezzi accessibili”, ha detto aggiungendo che la domanda di energia aumenterà del 30 per cento fino al 2040, spinta dall’aumento della popolazione.

ALTRO PROBLEMA LE TENSIONI TRA USA E ALTRI PAESI

usaUn altro tema ampiamente discusso durante la conferenza, secondo quanto riporta Forbes, è stato l’intensificarsi delle controversie commerciali tra Stati Uniti e gli altri paesi. Darren Woods, amministratore delegato della ExxonMobil, e Michael Wirth, suo omologo alla Chevron, hanno entrambi espresso preoccupazione per l’impatto che queste contese possono provocare sull’industria energetica in particolare e sull’economia mondiale in generale. Patrick Pouyanné di Total è tra coloro che hanno evidenziato un problema specifico nelle crescenti tensioni commerciali: la prospettiva cioè che il Gnl statunitense possa soffrire di un accesso limitato al più importante mercato di crescita del mondo, la Cina.

PERDITE DI GAS E FLARING UNA MINACCIA PER IL SETTORE

Tra le minacce alla crescita del gas, sempre più al centro dell’attenzione dell’industria è il tasso di perdita di metano da pozzi, gasdotti e impianti. L’industria evidenzia spesso i dati scientifici secondo cui l’uso del gas produce minori emissioni di Co2 rispetto al carbone, ma i risultati sono condizionati anche dall’entità delle perdite derivanti dalla produzione, dallo stoccaggio e dall’uso del gas stesso. Fatih Birol, direttore esecutivo dell’Aie, ha sostenuto che è nell’interesse dell’industria ridurre il più possibile le perdite di metano e contribuire a dare sostegno al gas perché “se la differenza sarà molto piccola in termini di emissioni, credo che ciò rappresenterà un cattivo risultato per le imprese del gas. Quindi, più ampie saranno le differenze di emissioni tra gas e carbone, meglio sarà per le imprese”, ha riportato Forbes. Le aziende energetiche hanno riconosciuto da tempo il metano come l’anello debole nella discussione sulla riduzione delle emissioni di gas e partecipano a una serie di programmi di condivisione delle tecnologie e di definizione di obiettivi per affrontarlo. Combattere le fughe di metano “sarebbe positivo per l’intero settore se vogliamo che il gas naturale trovi spazio per il futuro”, ha ammesso, secondo quanto riporta secondo Bloomberg, Pouyanne di Total che ha criticato nel corso della Conferenza di Washington Ryan Lance, CEO di ConocoPhillips, per non essersi unito a una coalizione di settore nata per combattere le fughe di metano. “È importante, dobbiamo farlo insieme”. Lance ha risposto ammettendo che Conoco non aveva bisogno di firmare un accordo per combattere qualcosa che stava facendo già da un decennio: “Sono contento che stiate riducendo il flaring Patrick perché la nostra azienda ha fatto un paio di anni fa” ha detto Lance. “Affrettatevi e recuperare”.

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Ecco come i produttori di gas combattono con le rinnovabili

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La riduzione dei costi delle energie verdi rende sempre più urgente per il settore tagliare le spese anche se il gas ha ancora diversi assi nella manica da giocare

Rinnovabili con il fiato sul collo dei produttori di gas. È questa la situazione che si sta delineando per mano di una concorrenza sempre più spietata delle energie verdi, le cui riduzioni di prezzo stanno cominciando a diventare una seria minaccia per la competitività dei combustibili fossili.

PRODUTTORI DI GAS E PETROLIO HANNO RIDOTTO LE SPESE DI UN TERZO DAL 2014 MA È SEMPRE PIÙ DIFFICILE LIMARE I COSTI

I produttori di gas e petrolio hanno ridotto le spese generali di un terzo dal 2014 e, secondo i consulenti energetici di Wood Mackenzie, stanno trovando sempre più difficile ottenere riduzioni maggiormente consistenti. Questo li sta spingendo a riscrivere i contratti di fornitura, a costruire terminali mobili per il gas naturale liquefatto e ad adottare misure più drastiche, come tubi a tenuta stagna.

LA RICETTA? SEMPRE QUELLA DI OTTENERE ENERGIA A PREZZI ACCESSIBILI

“Si tratta di ottenere energia a prezzi accessibili – ha dichiarato Jens Okland, vicepresidente esecutivo del marketing, midstream e processing di Equinor, la più grande azienda energetica norvegese a Bloomberg -. Molti di questi progetti Gnl sono enormi. Molto semplicemente è necessario renderli più economici”. Come spiega il quotidiano economico “mantenere il gas a un livello accessibile è un ingrediente cruciale dello sforzo mondiale per passare a forme di energia meno inquinanti, dal momento che i generatori di energia alimentati a gas possono avviarsi e arrestarsi rapidamente, aiutando le fluttuazioni nell’approvvigionamento provenienti da parchi eolici e solari. I suoi costi però devono diminuire, poiché le turbine eoliche e i pannelli solari più economici riducono l’utilità di scala delle centrali tradizionali, ora più costose”.

MOLTI CONCORRENTI DEL GAS ANCHE SENZA LE RINNOVABILI

Il gas ha molta concorrenza anche da altre fonti di energia e ben prima che le rinnovabili conoscessero il boom. Ad esempio, per competere con il carbone in Asia, le importazioni di gas devono arrivare a circa 4-6 dollari per milione di unità termiche britanniche. Si tratta di circa la metà del costo dei contratti attuali, secondo l’Unione internazionale del gas. In Germania, l’energia solare ed eolica onshore sono già paragonabili al gas in base al valore dell’elettricità generata dagli impianti nel corso della loro vita utile, come dimostrano i dati di Bloomberg New Energy Finance. Le aspettative sui costi, insomma, stanno già influenzando la politica energetica, poiché i governi decidono come equilibrare le esigenze di approvvigionamento rispetto a quanto gli elettori sono disposti a pagare. Il consigliere britannico per il cambiamento climatico, ad esempio, il mese scorso ha ammesso che il paese potrebbe aver bisogno del quintuplo di impianti a gas entro il 2050 per garantire la capacità di generazione ma affermazioni del genere presuppongono maggiori investimenti in un momento in cui la politica un po’ dappertutto sta premendo per tagliare le bollette ai consumatori.

IL GAS RIMANE ANCORA IL MIGLIOR “STABILIZZATORE” DI RETE

I manager del settore gas sono comunque fiduciosi di poter mantenere una quota importante delle attività di produzione di energia elettrica. Finora, nessuna batteria o altra tecnologia di stoccaggio è stata in grado di assicurare una “capacità di stabilizzazione della rete” pari a quella del gas, ha evidenziato De la Rey Venter, vice presidente esecutivo di Shell, durante un’intervista a Washington. “Per il prossimo futuro si può fare affidamento sul gas”. Secondo gli analisti di Sanford C. Bernstein, le aziende stanno già riducendo alcune spese concentrandosi su progetti con un miglior rapporto qualità/prezzo. Un esempio è lo sviluppo dei giacimenti di gas di Woodside Petroleum Ltd. a Scarborough, in Australia. Probabilmente la produzione sarà più economica di oltre il 60% – in termini di spesa necessaria per ogni unità di output – rispetto al gigantesco campo di Gorgon della Chevron. La Exxon Mobil, invece, sta cercando di ridurre le spese con l’espansione dei suoi progetti Gnl in luoghi lontani come il Mozambico e la Papua Nuova Guinea.

ECCO ALCUNI DEI MODI IN CUI L’INDUSTRIA DEL GAS STA RIDUCENDO I COSTI

gnlMa quali sono le modalità con le quali l’industria del gas sta cercando di ridurre i costi complessivi del settore? Innanzitutto utilizzando terminali Gnl di minori dimensioni. Gli impianti modulari “plug and play” di liquefazione del gas e i terminali di importazione galleggianti sono impianti di Gnl più piccoli ed espandibili che soddisfano gli acquirenti che necessitano di volumi inferiori. Sono anche più economici da costruire, quindi non hanno bisogno di contratti decennali per finanziarli. Una nave cisterna per il trasporto di gas naturale liquefatto, utilizzata come impianto di liquefazione in Camerun, è costata solo 1,2 miliardi di dollari. Al contrario, lo stabilimento Chevron di Gorgon, in Australia, costa oltre 50 miliardi di dollari.  Una seconda soluzione adottata riguarda i nuovi contratti: gli acquirenti di gas chiedono contratti Gnl più brevi e flessibili a causa dell’aumento della concorrenza tra i fornitori e del miglioramento della liquidità del mercato del combustibile super refrigerato. Ciò sta rendendo gli accordi tradizionali legati al petrolio sempre più irrilevanti con l’emergere di prezzi di riferimento specifici per il Gnl. Il semplice taglio delle clausole contrattuali che specificano una destinazione fissa può ridurre i costi di spedizione, riducendo i tempi e liberando le navi. Altra soluzione riguarda l’aspetto climatico: la produzione di Gnl nei paesi più freddi può ridurre i costi grazie al minor utilizzo di energia per liquefare il gas. Novatek PJSC ritiene, ad esempio, che lo stabilimento di Yamal in Siberia possa fornire Gnl in tutto il mondo a meno della metà dei prezzi attualmente pagati da Cina, Giappone e Corea del Sud da altri fornitori grazie al suo vantaggio in termini di temperatura rispetto a produttori come il Qatar che si trovano decisamente in climi più caldi. Infine la riduzione delle perdite: secondo un sondaggio dell’ Energy Institute, l’industria del gas sottovaluta ancora la quantità di carburante che fuoriesce quando viene estratto e trasportato. I produttori possono ridurre tale perdita del 75 per cento semplicemente migliorando le pratiche nella catena di approvvigionamento, con circa la metà senza costi netti.

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Nel futuro della rete gas c’è la lotta contro le cyber-minacce

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L’industria del gas sta accelerando l’adozione della digitalizzazione e dell’analisi dei dati, ma una maggiore connettività può modificare e aumentare le vulnerabilità informatiche. L’analisi di DNV GL

La diffusione di nuove tecnologie digitali nell’industria petrolifera e del gas sta generando entusiasmo per le opportunità di migliorare prestazioni, redditività e sostenibilità nel settore, ma anche nuove sfide in termini di sicurezza nelle operazioni e nelle reti.

IL 43% DEI MANAGER SI ASPETTA DALLE PROPRIE AZIENDE INVESTIMENTI IN SICUREZZA INFORMATICA

I gestori dei sistemi di trasmissione del gas stanno esaminando la possibilità di utilizzare sempre più sistemi di intelligenza artificiale, Internet of Thigs, machine learning e realtà aumentata per verificare le possibilità di migliorare, ad esempio, l’efficienza operativa e la sicurezza. Alcuni stanno già integrando le tecnologie digitali in sistemi più sofisticati di raccolta, analisi e visualizzazione dei dati per la manutenzione, la riparazione e il funzionamento delle reti del gas. L’indagine Industry Outlook 2018 di DNV GL ha rilevato che quasi la metà (43%) degli oltre 800 professionisti senior del settore petrolifero e del gas di tutto il mondo oggetto dell’analisi, si aspetta che quest’anno le proprie organizzazioni aumentino la spesa per la sicurezza informatica. La digitalizzazione (75%) e la sicurezza informatica (68%) sono intenzioni di investimento molto concrete nell’arco dei prossimi cinque anni.

MAGGIORE IMPATTO DELLA CONNETTIVITÀ SULLE VULNERABILITÀ INFORMATICHE

Secondo DNV “una maggiore connettività tra le tecnologie operative (OT) e le tecnologie dell’informazione (IT) e l’aumento del IoT possono incrementare o addirittura modificare la vulnerabilità delle risorse petrolifere e di gas agli attacchi informatici”. Mentre le violazioni della cyber-sicurezza “possono comportare la perdita di produzione, un aumento dei rischi per la salute, la sicurezza e l’ambiente, richieste di risarcimento danni costose, violazione delle condizioni di assicurazione, impatti negativi sulla reputazione e perdita della licenza di operare”.

MYRVANG (DNV): IN CIMA ALL’AGENDA DELL’INDUSTRIA DEL GAS C’È LA SICUREZZA INFORMATICA

“L’industria è attenta alla frequenza e all’impatto di tali violazioni, ma certamente in questo momento stiamo assistendo a un passaggio della sicurezza informatica in cima all’agenda dei proprietari di gasdotti, operatori, associazioni di categoria, governi e agenzie – ha dichiarato Petter Myrvang, information risk manager, DNV GL – Digital Solutions -. In particolare, il rischio è legato al fatto che segmenti critici della rete OT, un tempo isolati, vengono ora collegati alle reti IT”. Questi segmenti comprendono, tra l’altro, i sistemi di supervisione e acquisizione dati (SCADA), i sistemi di sicurezza e automazione (SAS) e i sistemi di controllo con controllori logici programmabili (PLC).

LE PRATICHE RACCOMANDATE

Di fronte alla sfida della cyber-sicurezza OT/IT, i responsabili del funzionamento sicuro e sostenibile delle risorse petrolifere e di gas devono adottare un approccio olistico, secondo DNV. “Lo standard IEC 62443 della Commissione Elettrotecnica Internazionale per la sicurezza dei sistemi di automazione e controllo industriale è la prima tappa per le informazioni sulla sicurezza informatica. Anche l’hacking etico può contribuire alla verifica e alla qualificazione tecnica di apparecchiature e sistemi. I test di penetrazione sono una fase importante di verifica da parte di terzi per qualsiasi infrastruttura critica e cibernetica, come le reti del gas”, ha sottolineato l’indagine di DNV.

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